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Stresa, tre arresti: “Hanno manomesso i freni d’emergenza per non bloccare l’impianto”

Hanno deliberatamente manomesso il freno di emergenza della funivia di Stresa per evitare interruzioni al servizio, visto che aveva già avuto dei blocchi. E’ pesantissima l’accusa della Procura di Verbania alle tre persone fermate nella notte per la strage del Mottarone. Sono Luigi Nerini, titolare della “Ferrovie del Mottarone”, il direttore di esercizio Enrico Perocchio e il responsabile del servizio Gabriele Tadini.

Le ipotesi di reato sono rimozione dolosa di sistemi di sicurezza, omicidio colposo plurimo, disastro colposo. Una pinza impediva al freno di agire. I tre fermati hanno “commesso un gesto materialmente consapevole” ha detto la procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi, alle 4 del mattino, uscendo dalla Caserma dei Carabinieri dove si sono svolti gli interrogatori.”Hanno ammesso la responsabilità” ha aggiunto il comandante dei Carabinieri. La funivia aveva problemi. Due volte c’erano stati interventi per cercare di risolverli, “ma evidentemente non sono stati risolutivi” dice la Procura. Anche l’altra cabina, quella che non è caduta, era senza freno di emergenza.

Piena consapevolezza della situazione da parte degli accusati, secondo i Pm. Sabato ad esempio, il giorno prima dell’incidente, la funivia si era fermata, raccontano testimoni. E le cabine viaggiavano senza freni da diversi giorni. Un quadro criminale, quello che emerge dalle indagini. E non è finita: “valuteremo le posizioni di altre persone” spiega la Procura. La società Ferrovie del Mottarone gestisce l’impianto, che è di proprietà pubblica. Dalla Regione Piemonte stava passando nelle mani del Comune di Stresa. Passaggio che, sostiene il Comune, non sarebbe ancora avvenuto formalmente. I fermi della notte sono relativi al sistema frenante manomesso. Rimane da spiegare perché il cavo di traino si sia rotto. C’erano problemi in quell’impianto, si sarebbe dovuto intervenire, ma sarebbe servito tempo.

“Il sistema presentava delle anomalie -afferma la Procura – avrebbe necessitato un intervento più radicale con un blocco se non prolungato consistente”. Tempo da dedicare e, ovviamente, denaro da spendere. La stagione era appena iniziata, le persone stavano tornando a Stresa ora che la pandemia faceva meno paura. I mesi di lockdown erano stati un problema dal punto di vista finanziario non solo per la funivia, ma per tutto il settore turistico della città. Si voleva ripartire.“Nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo si è corso il rischio” concludono i magistrati.
Ma il cavo si è spezzato. Il freno di emergenza non c’era. 14 persone sono morte.

 

Foto | Ansa

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    Luigi Ambrosio
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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