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Ritardi sui vaccini anche in Francia. Dose singola a chi ha già avuto il COVID?

vaccini francia

Anche in Francia le mancate consegne dei vaccini da parte dei laboratori stanno rallentando la campagna di vaccinazione. Ad oggi, poco meno di un milione e mezzo di francesi ha ricevuto una dose di vaccino ma solo poco più di 47mila persone ha fatto il richiamo.

Tra le proposte per affrontare la penuria di dosi, è di oggi quella del presidente della commissione medica del gruppo degli Ospedali parigini, che consiglia di fare una sola iniezione a chi ha già avuto il COVID. Una raccomandazione che il governo della Francia potrebbe prendere seriamente visto che il calendario iniziale ha subito pesanti ritardi e che diversi centri vaccinali sono costretti a disdire i nuovi appuntamenti per poter fare i richiami dei vaccini.

Parigi ha deciso da subito di dare la precedenza alle persone più vulnerabili, perché sono quelle considerate più a rischio di sviluppare una forma grave della malattia e quindi di occupare i letti delle terapie intensive. Le primissime dosi di vaccino, quelle di Pfizer/BioNTech, sono quindi andate ai pazienti delle case di riposo e delle strutture per disabili, ma anche al personale di una certa età o a rischio che se ne occupa.

Dopo le vacanze di Natale è venuto il turno del personale medico, dei pompieri e di chi si occupa di assistenza domiciliare, di 50 anni o più. Da fine gennaio i centri hanno iniziato a ricevere chi ha più di 75 anni e chi soffre di patologie a rischio. Se andrà tutto bene, dopo sarà il turno di chi ha più di 65 anni, a primavera toccherebbe ai cinquantenni e a partire dall’estate, a tutti gli altri.

A inizio anno, il Ministro dell’Educazione aveva detto di voler inserire anche gli insegnanti tra le categorie prioritarie ma all’annuncio non sono seguiti i fatti. È stato lo stesso presidente Macron a chiarire che, al di là del personale sanitario, non sarebbero state fatte distinzioni in base alla professione per evitare di scatenare gelosie e proteste. Del resto, la proposta del Ministro non corrisponde alla posizione del governo sulle scuole, che non vengono considerate come possibili focolai. Pur di tenere aperti gli istituti dalle materne ai licei, il ministero ha previsto un protocollo sanitario ancora più rigido a partire da questa settimana.

Gli alunni dovranno ad esempio mantenere due metri di distanza in mensa, anziché uno, e mettere la mascherina se non stanno mangiando o bevendo. E la paura della variante inglese modifica le regole per chiudere le classi: prima ci volevano 3 casi confermati tra gli studenti per sospendere le lezioni. Ora, se si sospetta che si tratti di una variante, ne basterà uno. Certo, visto che ci vuole qualche giorno per sequenziare il virus, la misura suscita qualche perplessità. Le cose sembrano più semplici alla materna, dove basterà un solo caso per isolare tutti per una settimana.

Agli insegnanti, intanto, rimane il dubbio: alla fine la scuola è sicura oppure no? Su questo punto mancano i dati, mentre iniziano a levarsi voci che chiedono una chiusura di un mese. Per fortuna, tra poco iniziano le vacanze di febbraio e chissà che il governo non decida di prolungarle.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    Violenza: riprendersi il potere sulla propria vita

    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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    Pubblica si occupa di violenza maschile contro le donne. Oggi è il 25 novembre, giornata internazionale dell’ONU per l’eliminazione della violenza di genere. Con la presidente di UN (United Nations) Women Italy, Darya Majidi. E con Barbara Leda Kenny, antropologa, coordinatrice della Fondazione Brodolini, curatrice del sito Ingenere.it

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