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Lombardia zona rossa, si torna a sei mesi fa

Lombardia Zona rossa - Milano Deserta - Foto di Claudia Reali

Non c’è spazio per le incertezze”, ha detto il ministro Speranza sulle cui spalle sono scaricate le chiusure e la protesta dei tre presidenti delle regioni zona rossa, ovviamente la Lombardia di Attilio Fontana che dopo non aver proposto alcunché, se non una dilazione in attesa di nuovi dati che potrebbero attestare una migliore situazione epidemiologica, può giocare la sua partita e dire che: la zona rossa è “uno schiaffo in faccia alla Lombardia e a tutti i lombardi”.

Secondo il presidente della Regione Lombardia che aveva accusato più volte il governo di non aver chiuso l’area della bergamasca a marzo, la decisione stavolta presa dal governo è “incomprensibile perché basata su dati di 10 giorni fa”, come se gli ospedali non avessero esattamente questo lasso di tempo per riempirsi dei nuovi casi positivi snocciolati a migliaia ogni giorno da settimane.

Irresponsabilità, cinismo, pressappochismo. Abbiamo visto ormai tutto. Oltre a quasi 18mila morti. Così i lombardi dopo un balletto durato giorni in attesa di qualcuno che prendesse una decisione, hanno un giorno per organizzarsi e ritornare alla situazione di sei mesi fa, al 4 maggio quando finì il primo lungo lockdown.

Torna il divieto di uscire di casa se non per motivi urgenti e necessari come lavorare, con maglie molto larghe per tutte le attività definite produttive, per portare i figli fino alla prima media a scuola, fare la spesa e andare in farmacia, portare i cani a passeggio e fare attività motoria solo attorno a casa; sempre con autocertificazione appositamente aggiornata.

Restano aperti i parrucchieri e consentite le vendite d’asporto e a domicilio di cibo. Un lockdown esperto, diciamo così. Fino al 6 dicembre, a meno che per 14 giorni consecutivi la situazione epidemiologica non migliori.

Qualcosa sta rallentando, in effetti, ma ancora poco. Di sicuro la sfiducia verso chi non ha provveduto a nulla in questi mesi e la rabbia di chi non ha risposte da un sistema pubblico lasciato in agonia dal governo leghista della regione – mentre chi paga ha tamponi e vaccini antinfluenzali – oltre alla crisi per tutti coloro che sono a rischio povertà, perdita lavoro o chiusura, sta formando una classe di scontenti difficilmente recuperabile se non con un welfare e una cura di cui non si vedono, se non con qualche piccolo esempio territoriale e solidaristico, ancora tracce universali e di cittadinanza.

Foto di Claudia Reali

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    Claudio Jampaglia
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