Approfondimenti

La vera storia delle giovani afghane in minigonna

di Simonetta Poltronieri

Tre donne afghane camminano insieme per le strade di Kabul indossando delle minigonne. Fotografia di un istante, in bianco e nero, semplice ma d’impatto. Su Internet e sui social network questa foto è stata condivisa ed è diventata virale quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan lo scorso agosto. Veniva spesso contrapposta ad altre foto. Come un prima e un dopo. Prima, l’emancipazione femminile. Dopo, l’oppressione dei talebani. Anche se si potrebbe pensare a un fotomontaggio, la foto è autentica ma mostra solo una prospettiva, una storia. Lo ha raccontato a Le Monde proprio l’autrice dello scatto, la fotografa francese Laurence Brun.

La foto di cui si parla tanto l’ho scattata io. Posso dire che è dal 2001 che questa foto mi è completamente sfuggita di mano. Tutti hanno incominciato a fantasticarci sopra e questo mi ha davvero infastidito. Questa foto l’ho scattata nel 1972. Camminavo per la strada, e cosa ho visto davanti a me? Queste ragazze con queste gonne sopra al ginocchio e non potevo credere ai miei occhi. Era tutto abbastanza straordinario. Quindi ho preso la mia macchina fotografica e ho catturato il momento. Però mi sono detta: devo fare un’altra foto, mettendo fianco a fianco le donne con il velo e quelle con la minigonna, perché quella era la realtà. Mostrare solo le tre ragazze con le minigonne – come nella foto – avrebbe solo confuso le idee. Come sta succedendo anche adesso.

Idee confuse che portano a diverse strumentalizzazioni. Si dice, ad esempio, che contribuì a convincere il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, nel 2017, a non ritirare le truppe statunitensi dall’Afghanistan. Una strumentalizzazione politica che non ha di certo entusiasmato l’autrice dello scatto. Lo abbiamo sentito: questa foto senza contesto, dà solo una prospettiva, parziale e incompleta dell’Afghanistan degli anni ’70. Anche nella didascalia che accompagna lo scatto sul sito dell’agenzia fotografica Getty viene ribadito tutto questo. E viene contestualizza così la foto: “nella zona di Shar-e-Naü, nel centro di Kabul, alcune ragazze più emancipate erano solite indossare capi più moderni nonostante le dure critiche della maggioranza della popolazione, attaccata alle tradizioni musulmane. Alcuni religiosi, come il Mullah, a volte gettavano acido sulle gambe di queste giovani ragazze”.

Sì può parlare, sì, in qualche modo di emancipazione femminile, quindi negli anni ’70. Ma questa era limitata e precaria. E così lo sarà nei decenni successivi e lo era anche prima. Infatti, solo considerando l’impulso alla modernità dato negli anni ’60 dal re Mohammed Zahir Shah – poi ripercorrendo gli anni della dominazione delle truppe sovietiche -, tutta questa modernità va però letta con il parallelo della condizione femminile nelle zone più rurali, fuori dalle città come Kabul. Dove le donne erano invisibili.

Foto | Kabul, agosto 2021

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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