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La Consulta dichiara incostituzionali le norme centrali della legge sull’autonomia differenziata

La Consulta dichiara incostituzionali norme centrali della legge sull’autonomia differenziata

Buona parte della legge sull’autonomia approvata dalla destra di governo è incostituzionale. Lo ha stabilito questo pomeriggio la Consulta, la Corte Costituzionale, chiedendo al parlamento di colmare i vuoti aperti da questa sentenza. Il verdetto esclude un’incostituzionalità complessiva dell’intero testo, ma giudica illegittima una lunga serie di misure e dà un duro colpo a uno dei provvedimenti più importanti approvati da quando Giorgia Meloni è al governo.

Il ragionamento della consulta parte dall’articolo 116 della Costituzione, in base a cui le regioni possono avere “forme particolari” di autonomia, ma a condizione che siano rispettati i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’equilibrio di bilancio, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini.

Alla luce di ciò diversi punti sono giudicati incostituzionali. Uno di questi è la possibilità che alle Regioni vada la competenza su intere materie o parti di esse, invece che su specifiche “funzioni” legislative e amministrative. Un’altra questione riguarda i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni che vanno garantiti in tutta Italia: è incostituzionale che di fatto siano definiti dal governo, limitando il ruolo del Parlamento.

Un terzo tema centrale è quello economico: il fatto che le regioni contribuiscano agli obiettivi nazionali di finanza pubblica non può essere facoltativo, dev’essere un obbligo. La Consulta sottolinea anche che la legge potrebbe premiare le regioni più inefficienti, affidando a loro dei soldi che non sono in grado di spendere bene per le competenze che ottengono dallo Stato. Su tutti questi punti – dice la corte – deve intervenire il parlamento, cambiando la legge voluta dalla Lega e fatta passare da Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Contro il provvedimento avevano fatto ricorso le quattro Regioni guidate dal centrosinistra, ricorso da cui si arriva al verdetto di oggi. Resta l’ipotesi di un referendum per cancellare l’intera legge: da capire in che modo la sentenza influirà sul possibile voto popolare, ma prima ancora appunto è da capire cosa farà il parlamento e quale sarà nel complesso la reazione politica della maggioranza, mentre dall’opposizione si parla già di un’autonomia “demolita” dalla corte costituzionale.

  • Autore articolo
    Andrea Monti
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    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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