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Il contributo del reddito di cittadinanza per togliere acqua alla mafia

INPS Reddito Cittadinanza ANSA

Il reddito di cittadinanza, lo sappiamo, ha molti nemici e ogni giorno subisce violenti attacchi, di solito da persone che portano a casa dieci volte tanto rispetto ai 561 euro mensili che vengono dati a chi lo riceve.

L’altro ieri l’Istat, nel suo rapporto, ha scritto che questa misura ha evitato almeno un milione di poveri assoluti in più, ma anche questa evidenza non ha tolto il fiato a chi vuole eliminare questo sussidio.

Ieri però da Palermo è arrivata la notizia che oltre a ristoratori, imprenditori edili e liberisti assortiti, a lamentarsi per il reddito di cittadinanza sono anche i boss mafiosi, che faticano a trovare i cosiddetti “picciuttieddi”, i ragazzi che fanno da manovalanza alle cosche con il piccolo spaccio o il ritiro del pizzo.

A dirlo, com’è emerso da un’intercettazione telefonica registrata nel febbraio 2020 e ora emersa agli atti, è stato il capoclan Giuseppe Incontrera, ucciso il 30 giugno scorso da una banda rivale nel quartiere della Zisa.

Parlando con un suo collaboratore del progetto di aprire una nuova piazza dello spaccio, Incontrera si lamentava della difficoltà di trovare uno spacciatore di quartiere per colpa di “questa minchia di cittadinanza”, come spiegava al suo interlocutore.

Non è una curiosità buffa, uno strano ma vero: è invece un dato sociologico nuovo. Con tutti i suoi difetti e i suoi problemi, il reddito di cittadinanza ha anche il merito di salvare i ragazzi di Palermo, o almeno alcuni di essi, dall’ingresso nell’industria della mafia.

Il boss Incontrera nel frattempo è morto ammazzato, si diceva. Ma forse ora andrebbe quasi ringraziato, per averci rivelato che il reddito di cittadinanza, tra le altre cose, può essere uno strumento per togliere acqua alla mafia.

  • Autore articolo
    Alessandro Gilioli
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    La retta della Rsa per le persone affette da Alzheimer deve essere a carico dell’Azienda Sanitaria: lo ha deciso la Corte d’Appello di Milano che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tribunale di Milano. Sentenza che obbligava un cittadino lombardo a pagare il ricovero in una struttura sociosanitaria per la madre malata di demenza senile. Si tratta di rette insostenibili: secondo i sindacati, nonostante la Lombardia impegni 200 milioni di euro in più all’anno rispetto a quattro anni fa proprio per le RSA, queste alzano le rette e le famiglie continuano a pagare prezzi spropositati. Abbiamo sentito prima Laura Valsecchi di Medicina Democratica e successivamente Federica Trapletti, segretaria SPI CGIL che sta seguendo la vicenda.

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