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Il futuro della Siria è ancora tutto da scrivere

Siria ANSA

Sull’asfalto di piazza Umayyad, nel centro di Damasco, c’è una grossa statua di Hafez al-Assad, il padre di Bashar. È proprio davanti a un piccolo chiosco che vende bibite e caffè. Quasi tutti i passanti, prima di comprare qualcosa, le danno un calcio. In Siria è finita un’era. Non ci sono dubbi. Nella sorpresa generale è caduto un tassello del Medio Oriente che molti pensavano ancora ben radicato a terra.

Il futuro della Siria però è ancora un foglio bianco. Tutto da scrivere. Molte le incognite. Nessuno conosce la combinazione. Ma già adesso possiamo citare alcune variabili, almeno due, che sicuramente saranno determinanti.

La prima. L’economia. Assad ha lasciato un paese in ginocchio. Il sistema è da ricostruire da zero. In questi giorni alcuni commercianti di Damasco ci hanno detto che i prezzi sono già scesi e che ci potrebbero essere le condizioni per ripartire. Ma hanno aggiunto che sarà fondamentale il supporto esterno. Ne servirà molto. Oltretutto il paese è ancora sotto sanzioni, quindi sganciato dall’economia globale. Sviluppo economico vuol dire stabilità. Difficilmente, se continueranno a vivere in povertà, i siriani – anche se non tutti – appoggeranno le nuove autorità, che comunque ancora non conosciamo.

Al mondo ci sono esempi – seppur in contesti radicalmente diversi – di sistemi non democratici che mantengono una discreta stabilità. Pensate a Cina o Arabia Saudita. Ovviamente il nostro non è un appoggio a quei sistemi. La stessa caduta del regime siriano è stata provocata dal malcontento, per la crisi economica, della comunità alauita, quella da cui proviene la famiglia Assad e che faceva quasi il 90% dell’apparato di sicurezza del regime. Non è un caso che i soldati siano scappati prima ancora di combattere con i ribelli.

La seconda variabile. Cosa farà Hayat Tahrir al-Sham? Il principale gruppo ribelle, guidato da Al-Joulani, è sul serio nel pieno di una trasformazione radicale? Nella Siria di domani non ci sarà più spazio per l’integralismo islamico? In questi giorni Al-Joulani ha detto ufficialmente che sarà così: convivenza e rispetto con tutte le comunità. Abbiamo anche visto diverse donne a capo scoperto al fianco di miliziani con la barba lunga.

Alcuni siriani che hanno familiari dentro Hayat Tahrir al-Sham ci hanno però detto che all’interno dell’organizzazione ci sarebbe una linea di frattura, perché negli anni scorsi molti dei suoi membri hanno combattuto per una cosa: l’introduzione della legge islamica. “Questo è un grosso problema”, ci ha confessato il fratello di un combattente dell’organizzazione, oltretutto piuttosto vicino allo stesso Al-Joulani. Le atrocità commesse dal vecchio regime sono di tali proporzioni che comprensibilmente, per molti siriani, questo non sia un problema impellente, visto che i nuovi arrivati hanno portato proprio alla fine dell’era Assad.

Non dimentichiamoci nemmeno i casi di Iraq e Libia, dove la caduta de feroci dittatori non ha risolto tutti i problemi. Siamo usciti dalla Siria passando dal confine con il Libano in direzione Beirut. Nella zona sud di Beirut, la roccaforte di Hezbollah, ci sono decine e decine di edifici ridotti in frantumi dai bombardamenti israeliani delle scorse settimane. Il tutto in quartieri dove le case sono una attaccata all’altra. Le macerie ci ricordano la grande instabilità di questa regione. Oggi più di ieri. Potrebbe essere d’aiuto, forse, un nuovo accordo sul programma nucleare iraniano.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Elizabeth LeCompte, regista e fondatrice del Wooster Group, è il Leone d’Oro alla carriera della Biennale Teatro 2025. “È una storia personale, individuale e al tempo stesso collettiva” – si legge nella motivazione con cui Willem Dafoe accompagna l’attribuzione del Leone d’Oro alla carriera a Elizabeth LeCompte. Il lungo viaggio artistico della LeCompte, regista o, come lei ama definirsi ‘creatrice di teatro’, è indissolubilmente legata a quella del Wooster Group, la storica compagnia fondata con Spalding Gray agli inizi degli anni Settanta del Novecento. È la stagione dell’off-off-Broadway, impregnata della sperimentazione del Living Theatre o di Joseph Chaikin, nella New York che protestava contro la guerra in Vietnam. A partire dagli anni Settanta e Ottanta, Elizabeth LeCompte ha saputo influenzare la creazione teatrale aprendola al dibattito politico e culturale, in un percorso coerente e caparbio, frutto di studio approfondito, di tecnica innovativa – sempre incentrata sull’integrazione della tecnologia moderna con l’arte fisica dell’attore, all’interno di una mise en scène di sua ideazione. Il teatro è ‘un’azione fisica’, secondo LeCompte, da fare orgogliosamente e ostinatamente fuori dal sistema produttivo americano, in una continua battaglia per l’indipendenza creativa, individuale e collettiva. Ascolta il discorso di Elizabeth LeCompte, fatto durante la premiazione.

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