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Il cambiamento climatico brucia le destre: le elezioni diventano climatiche

cambiamento climatico

Il cambiamento climatico sta surriscaldando anche le elezioni, e i partiti di destra rischiano di bruciarsi.

In un’analisi pubblicata dal quotidiano Politico, sembra infatti che la questione climatica stia progressivamente facendo perdere ai conservatori di tutto il mondo la presa sugli elettori.

L’esempio più recente è quello dell’Australia. La sfida per la presidenza del 22 maggio tra il leader del partito labourista Anthony Albanese, che sarà il primo capo di Stato di origini italiane a guidare il Paese, e il presidente liberale uscente, Scott Morrison, a capo della coalizione conservatrice rimasta al governo per 9 anni, è stata una vera e propria “elezione climatica”.

L’Australia è tra i maggiori esportatori di combustibili fossili al mondo, è l’ultima grande democrazia ad aver fissato l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050 e ci sarebbe proprio la scarsa attenzione rivolta dall’ex premier ai problemi ambientali all’origine della sconfitta di Morrison.

Le elezioni australiane sarebbero dunque un monito per i partiti di centrodestra di tutto il mondo. Il cambiamento climatico sta assumendo sempre più centralità tra i temi elettorali affrontati in campagna e altri governi rischiano di essere fortemente penalizzati o sopraffatti dal sostegno accordato alle sinistre dagli elettori che desiderano una maggiore attenzione per il clima.

In Germania, per esempio, le elezioni di settembre hanno visto perdere clamorosamente l’Unione Cristiano-Democratica, al governo da 16 anni, sconfitta da una coalizione composta da socialdemocratici, liberali e verdi.

Nonostante la decisione dell’ex cancelliera Angela Merkel di adottare politiche per raggiungere le emissioni zero tra le più ambiziose del mondo, la serietà del partito è stata minata quando il leader della CDU Armin Lascher, candidato alla cancelleria, è stato visto ridere, in un video che ha fatto il giro della rete, durante una visita in una città colpita da un’alluvione devastante la scorsa estate.

La sconfitta della CDU, si legge ancora su Politico, non è stata influenzata soltanto dal dibattito sul cambiamento climatico. Ma la “nostra debole prestazione” in questo campo è stata sicuramente uno dei fattori, ha detto Peter Liese, membro della CDU al Parlamento europeo. “La ricetta per il successo”, prosegue, include una politica climatica più forte.

E proprio questo tipo di politiche, lo scorso mese, ha contribuito alla vittoria del due volte presidente Emmanuel Macron nella corsa alla presidenza. Sui temi ecologici l’avversario più preparato e temibile è stato il candidato di sinistra de La France Insoumise Jean-Luc Mélenchon che in campagna elettorale prometteva un maggiore impegno sulle questioni ambientali.

Appena rieletto, Macron si è subito mosso in questa direzione: in settimana ha affidato l’annosa questione a un team di ministre, il trio composto da Elisabeth Borne, prima donna a capo del governo dopo 30 anni, Agnès Pannier-Runacher, ministra per la transizione energetica, e Amélie de Montachalin, ministra per la transizione ecologica e lo sviluppo regionale. Ma Mélenchon non si è arreso e ha riunito una coalizione di verdi e pariti di sinistra con l’esplicito obiettivo di strappare alla coalizione di Macron la maggioranza alle legislative di giugno.

Anche negli Stati Uniti i democratici hanno lasciato allibiti i propri elettori quando non sono riusciti a convincere il senatore della Virginia, del loro stesso partito, Joe Manchin, a votare a favore di una legge per il clima e a farla passare in Senato. Questa mossa potrebbe mettere a repentaglio la vittoria dei dem alle elezioni di Midterm di novembre: Joe Biden infatti nel 2020 è riuscito a farsi eleggere anche raccogliendo i voti di giovani elettori attenti alla questione del clima.

Tutto ciò sta accadendo perché di fronte ai cambiamenti climatici che stanno diventando sempre più reali, tra siccità, incendi, inondazioni, terremoti e tifoni, le persone iniziano ad avere paura. Gli elettori sanno che il tempo a disposizione per invertire questa tendenza si sta riducendo e che ora, e non domani, è il momento di agire.

di Eleonora Panseri

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    Kei Pritsker, regista con Michael T Workman del documentario “The Encampments”, racconta ai microfoni di Radio Popolare i retroscena della protesta studentesca pro Palestina alla Columbia University. “Gli studenti della Columbia protestano da anni per la Palestina e per ottenere che l’università dismetta gli investimenti in Israele – spiega Pritsker. L’università ha un ingente fondo di dotazione che investe in ogni sorta di attività, molte delle quali riguardano aziende produttrici di armi, aziende manifatturiere che realizzano armamenti, motori per elicotteri, bulldozer e ogni tipo di attrezzatura utilizzata in queste operazioni”. “The Encampments” fa parlare i ragazzi e le ragazze di questo movimento studentesco che dall’aprile del 2024 ha montato le tende nel giardino del Campus per chiedere trasparenza, il ritiro del denaro dagli investimenti israeliani e l’amnistia per gli studenti puniti per le proteste. “Chiunque creda ancora a questa narrativa sull’antisemitismo nel movimento per la Palestina dovrebbe semplicemente guardare il film – assicura Kei Pritsker”. Al momento “The Encampments” ha una distribuzione indipendente che lo diffonde nei cinema più coraggiosi. L'intervista di Barbara Sorrentini per la trasmissione Chassis.

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