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Guerra d’Algeria: la Francia inizia a riconoscere i suoi crimini

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Durante la guerra d’Algeria, i soldati francesi hanno arrestato, torturato e ucciso l’avvocato Ali Boumendjel. Emmanuel Macron lo ha ammesso per la prima volta pubblicamente a nome dello Stato. Con un comunicato ufficiale dell’Eliseo e durante un colloquio privato con i nipoti franco-algerini di quella che è stata un’importante figura della lotta per l’indipendenza.  Ali Boumendjel era nato nel 1919 a Relizane, una città non lontana da Orano, nel nord ovest del paese, in una famiglia di insegnanti. Fu il 78esimo avvocato “mussulmano”, così venivano chiamati all’epoca gli algerini, a prestare giuramento. Capace di pronunciare le sue arringhe in arabo come in francese, militante nazionalista, in Algeria è considerato un simbolo di quella corrente borgese, moderata, democratica e pacifista che si batteva per la fine della colonizzazione. Ed è ricordato come l’avvocato dei poveri, che ha accolto fino all’ultimo nel suo studio di Algeri.

Ali Boumendjel ha 38 anni, una moglie, Malika e quattro figli, il più grande di 7 anni, quando viene arrestato dall’esercito francese in piena battaglia di Algeri. È l’inizio di marzo del 1957, con lui vengono portati via anche due fratelli di sua moglie, di cui si perdono le tracce. Tre settimane dopo, il 23 marzo, i giornali annunciano che l’avvocato si è suicidato, gettandosi dal sesto piano della caserma in cui era stato portato, dopo aver firmato una confessione in cui dice di essere il capo della regione Algeri-Sud per le questioni politiche.

Nessuno, in Algeria, crede alla versione ufficiale. Anche in Francia la morte di Boumendjel fa scandalo e smuove l’opinione pubblica. A Parigi si inizia a parlare sempre più apertamente delle torture inflitte agli algerini dai soldati francesi ma lo Stato nega tutto. Fino agli anni 2000 la famiglia dell’avvocato rimane senza risposte certe. Quell’anno è il generale Paul Aussaresses, ex responsabile dei servizi segreti ad Algeri, a rompere la legge del silenzio sulle torture. E a confessare di essere stato proprio lui a ordinare a un suo sottoposto di spingere nel vuoto Ali Boumendjel e di farlo sembrare un suicidio.

L’ammissione della Francia, la fine di una menzogna di Stato, arriva troppo tardi per Malika Boumendjel, morta l’anno scorso dopo una vita passata a battersi per la verità. Ma rientra tra le misure proposte dallo storico Benjamin Stora per cercare di smussare le tensioni attorno alla memoria della guerra in Algeria. Un gesto simbolico quanto concreto che, ha assicurato il presidente francese, non sarà un atto isolato. E che si rivolge in fondo forse meno agli algerini, che non hanno mai creduto alla versione del suicidio, che ai giovani francesi d’origine algerina. Come precisa l’Eliseo: la generazione dei nipoti di Ali Boumendjel deve poter costruire il suo destino. È per la gioventù francese e algerina che dobbiamo avanzare sulla strada della verità, la sola che possa portare alla riconciliazione delle memorie. Sessant’anni dopo il suo omicidio, Ali Boumendjel è diventato il simbolo del primo passo in quella direzione.

Foto | Ali Boumendjel, Wikipedia

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