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Fine dell’emergenza

covid morti decessi emergenza

Dopo quattordici mesi, finisce lo stato d’emergenza e cadono molte restrizioni. Riacquistiamo sia gran parte della nostra libertà, sia, almeno così dovrebbe essere, la nostra democratica vita istituzionale. Sul campo restano, secondo le cifre ufficiali ampiamente sottostimate, 160.000 decessi per COVID che continuano ad aumentare ogni giorno, perché una pandemia non inizia e non si conclude con un decreto.

Restano le voci dei parenti di coloro che sono morti nelle RSA e nella mai proclamata zona rossa nel bergamasco, voci che continuano a chiedere giustizia e che si rifiutano di accettare che anche questa pagina della nostra storia nazionale si concluda con l’impunità dei potenti di turno; restano i quattrocentomila soggetti fragili che hanno l’assoluta necessità di continuare ad essere protetti e restano in attesa di una reale tutela sul lavoro, per chi di loro riesce a lavorare e della gratuità dei tamponi di chi li assiste quotidianamente; restano almeno tre milioni di cittadini che devono recuperare visite ed esami per patologie non COVID che sono state loro negate durante l’emergenza; restano otto milioni di giovani in età scolare che hanno pagato un prezzo altissimo e parecchi fra loro avrebbero necessità di un sostegno e di una forte rete sociale, ma molti servizi a loro destinati sono stati chiusi o non hanno sufficiente personale; resta un Servizio Sanitario profondamente sofferente al quale mancano migliaia di medici e infermieri che il PNRR non prevede di assumere.

Ma restano anche 590.000 dosi dell’antivirale Paxlovid per ora inutilizzate e a rischio di scadenza, sulle 600.000 acquistate, perché non vi è un’adeguata organizzazione per garantire una distribuzione in linea con i tempi necessari per l’assunzione del farmaco; restano milioni di dosi di vaccino acquistate in eccedenza, sottratte ai Paesi più poveri, che rischiano di scadere qui in Italia o nei Paesi africani, come il Ruanda e la Tunisia, dove il nostro governo le ha spedite poche settimane prima della scadenza, Paesi che non riusciranno ad utilizzarle in tempo e dovranno smaltirle.

Ma resteranno anche e ne siamo certi, la volontà nostra e di tanti, certamente di molti delle nostre ascoltatrici e ascoltatori, di non dimenticare, di fare tesoro di quanto ci ha insegnato la Pandemia per aumentare tutti nostri sforzi per costruire un Servizio Sanitario pubblico, efficiente e universale.

  • Autore articolo
    Vittorio Agnoletto
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    Kei Pritsker, regista con Michael T Workman del documentario “The Encampments”, racconta ai microfoni di Radio Popolare i retroscena della protesta studentesca pro Palestina alla Columbia University. “Gli studenti della Columbia protestano da anni per la Palestina e per ottenere che l’università dismetta gli investimenti in Israele – spiega Pritsker. L’università ha un ingente fondo di dotazione che investe in ogni sorta di attività, molte delle quali riguardano aziende produttrici di armi, aziende manifatturiere che realizzano armamenti, motori per elicotteri, bulldozer e ogni tipo di attrezzatura utilizzata in queste operazioni”. “The Encampments” fa parlare i ragazzi e le ragazze di questo movimento studentesco che dall’aprile del 2024 ha montato le tende nel giardino del Campus per chiedere trasparenza, il ritiro del denaro dagli investimenti israeliani e l’amnistia per gli studenti puniti per le proteste. “Chiunque creda ancora a questa narrativa sull’antisemitismo nel movimento per la Palestina dovrebbe semplicemente guardare il film – assicura Kei Pritsker”. Al momento “The Encampments” ha una distribuzione indipendente che lo diffonde nei cinema più coraggiosi. L'intervista di Barbara Sorrentini per la trasmissione Chassis.

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