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Bettino Craxi, 20 anni dopo. Parlano Nando dalla Chiesa e Ugo Intini

Bettino Craxi ed Enrico Berlinguer

A 20 anni dalla morte di Bettino Craxi, complice anche l’uscita del film di Gianni Amelio, Hammamet, che racconta gli ultimi mesi dell’ex Presidente del Consiglio e segretario del Partito Socialista Italiano dal 1976 al 1993, si è riacceso il dibattito sulla carriera politica del leader socislista e sul modo in cui ha trasformato il PSI fino alla sua dissoluzione nel 1994.

Abbiamo intervistato due figure che ricordano bene Bettino Craxi e la sua storia: il sociologo Nando dalla Chiesa, fondatore del circolo Società Civile a Milano nel 1985, e il giornalista e politico Ugo Intini, deputato del PSI dal 1983 al 1994 e stretto collaboratore di Craxi.

Le interviste di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma.

Nando dalla Chiesa: “Craxi imparagonabile ai personaggi politici di oggi”

Lei a Milano ha fondato il circolo Società Civile, un luogo che voleva essere uno spazio di espressione per i cittadini al riparo dai partiti, che erano diventati troppo invadenti. Non potevano iscriversi i politici, c’erano invece con voi tanti magistrati, alcuni dei quali poi protagonisti di Mani Pulite. Si può dire che la reazione all’andazzo malato della politica era cominciata anni prima dell’inchieste?

Sì, c’era quell’esigenza. Ma ricordo che tra i fondatori di Società Civile c’erano anche diversi intellettuali socialisti (Giorgio Galli, Giorgio Bocca, Guido Martinotti), dunque non c’era una connotazione di partenza e credo non che non ci sia stata neanche dopo. Per noi il problema era acquisire una libertà di opinione e discussione critica in una città in cui le parole delle persone valevano in relazione al partito che rappresentavano, dove non ci si confrontava sul merito delle affermazioni e delle cose che si dicevano. Questo per chi era abituato a fare dei ragionamenti critici era intollerabile. Era una società divisa in accampamenti, non era possibile una città che cercava di avere una dimensione di poliedricità culturale. Oggi il clima degli anni ’80 sarebbe impensabile. Società Civile non nacque “sui magistrati”, nacque sulla libertà di discussione e la questione morale. Poi siccome in quel sistema di partiti a Milano il perno era costituito dal Partito Socialista, su quello ricadevano le maggiori responsabilità di un costume generalizzato.

Come ricorda Craxi 20 anni dopo?

Craxi non è stato una figura soltanto milanese e il Partito Socialista di allora non era soltanto milanese. Noi eravamo un circolo milanese e ci siamo misurati con quella realtà. La figura di Craxi è complessissima. Non si possono dimenticare le ragioni per cui abbiamo cercato di opporci a quel sistema dei partiti, che era un sistema a dominanza socialista, e non si può dimenticare neanche la visione generale di Craxi. Il Craxi della fine degli anni ’70 era una figura profondamente diversa da quella che abbiamo visto concretamente negli anni successivi. Credo ci sia stata proprio una distanza tra le promesse iniziali della fine degli anni ’70, in cui intorno al Partito Socialista si ritrovavano molte delle migliori intelligenze del Paese, e quello che è accaduto dopo.

Intende dire che Craxi non è stato un grande riformatore come spesso viene ricordato?

Ha proposto un bisogno di riforme, ma le riforme non le abbiamo viste. Anzi, quando c’è stata la riforma elettorale ha invitato tutti ad andare al mare. Ha posto un problema vero, quello di scomporre e scombinare un sistema politico che era bloccato intorno al “bipartitismo imperfetto” di Democrazia Cristiana e Partito Comunista, ma le riforme non le abbiamo viste.

C’è chi dice che ci portiamo ancora adesso sia l’eredità del craxismo che quella dell’anti-craxismo, e in questo senso il parallelo è con un certo populismo molto diffuso oggi. 

Sì, il populismo allora c’è stato e dava anche fastidio perché impoveriva le discussioni che avevano dei fondamenti importanti. C’è ancora oggi, ma certo la figura di Craxi è imparagonabile ai personaggi del ceto politico odierno. Quella classe politica, che potevamo accusare di molte cose, aveva però una struttura nettamente superiore a quella di oggi. Stiamo parlando comunque di un uomo politico che aveva una statura che rispetto ad oggi è di un’altra dimensione.

Bettino Craxi, l’intervista a Ugo Intini

Lei ha rifondato il PSI anni dopo la morte di Craxi: quanto è stato difficile portare avanti le idee del socialismo italiano dopo Mani Pulite, e quanto c’era secondo lei di responsabilità del vostro leader?

È stato molto difficile, soprattutto in quei tempi. Ma dopo l’uscita del film di Amelio si è detto già tutto  e non vorrei ripetermi. Vorrei piuttosto cominciare, dato che siete una Radio storica di Milano, ricordando le origini politiche di Craxi in questa città. I leader politici sono la continuità di una Storia, almeno quando la politica c’è davvero. Craxi a Milano è stato il successore di Guido Mazzali alla guida del Partito Socialista. Mazzali, giornalista de l’Avanti, partigiano, amico di Pietro Nenni, dopo il fascismo si è dedicato alla pubblicità, è stato il primo pubblicitario moderno. Come leader del partito, Mazzali nel ’45 diventa assessore e chiede la delega allo Spettacolo e allo Sport. Si devono a lui la riapertura della Scala e la nascita del Piccolo Teatro con Paolo Grassi e Giorgio Strehler. Queste sono le radici di Bettino Craxi.

Il film di Gianni Amelio si apre con la scena di un dirigente che avverte Craxi: stai sottovalutando i problemi con la giustizia…anche secondo lei Craxi non seppe capire cosa stava per succedere?

Amelio ha detto più volte che non voleva fare un film di ricostruzione storica. A me non è piaciuto il pezzo iniziale sul Congresso PSI all’ex Ansaldo, perché non era quello il Partito Socialista. Era pieno di passione e di intelligenza, lì invece c’è una visione riduttiva. Certamente Craxi, come tutti i leader politici dell’epoca, aveva in testa il principio che la politica veniva prima di tutto, i finanziamenti e la legalità dei finanziamenti stessi venivano dopo e contavano poco. Era lo spirito del tempo in Italia, ma anche nel resto d’Europa. Il cancelliere tedesco Kohl dovette dimettersi per uno scandalo sui finanziamenti illeciti al suo partito.

Non si ricordano, però, altri ex Presidenti del Consiglio fuggiti dal proprio Paese per evitare la giustizia.

Lì ci sono molte discussioni. Non si può dare un giudizio su una scelta assolutamente personale. Quella sicuramente non era una giustizia “giusta”, era una giustizia violenta perché usava il carcere come strumento di tortura per estorcere delle confessioni.

Ad un certo punto il Partito Socialista di Craxi è diventato un partito personale in cui il capo era circondato da yes men che gli garantivano un potere indiscusso. Una delle colpe che più è stata addebitata a Craxi è l’aver fatto entrare un po’ tutti, con poca selezione. Lei che ne pensa?

L’argomento è molto complicato perché il degrado dei partiti cominciò già tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Poi i partiti sono stati distrutti, e quelli che ci sono oggi non sono più dei partiti e manifestano quel degrado moltiplicato per cento.
A quel tempo i partiti cominciavano ad affidarsi troppo allo spettacolo, oggi lo spettacolo è l’unica cosa che interessa. Questo è un fenomeno che si è manifestato in tutta Europa e in tutto il Mondo perché il sistema dei media ha portato in quella direzione.
Per quanto riguarda la selezione, io penso che il Partito Socialista avesse un’ottima classe dirigente e lo si è visto anche negli anni successivi, quando ex esponenti del Partito Socialista hanno avuto ruoli di rilievo in tutti i partiti di destra, di centro e di sinistra.
Certo va detto che mentre il Partito Comunista aveva una forte capacità di selezione dei suoi dirigenti perché aveva una disciplina di ferro, e la Democrazia Cristiana aveva il controllo dei Vescovi e della Chiesa, il Partito Socialista, che era in forte espansione, aveva meno filtri di accesso e questa è stata una sua debolezza.

La rottura col PCI. Vista da dentro e da stretto collaboratore di Bettino Craxi, quando è maturata e su quali basi?

Alla fine degli anni ’80 ci furono idee diverse nel Partito Socialista, che era un partito leaderistico ma democratico. C’erano dei compagni che erano per accelerare l’alleanza col partito ex comunista e fare rapidamente un’elezione anticipata per creare uno schieramento di sinistra. C’erano altri più prudenti ed io ero tra questi.

Per quali ragioni?

Nel Partito Comunista non vedevo ancora un rinnovamento convincente e pensavo che un’alleanza tra i socialisti e i comunisti fosse assolutamente perdente in uno schema bipolare. Alla fine gli elettori italiani non si fidavano di una sinistra in cui il Partito Comunista pesava ancora troppo. Ci fu poi la vicenda della guerra in Iraq, in cui il partito ex comunista, che era contrario, si mise in una posizione isolata dal resto del mondo occidentale e dunque in una posizione inagibile come partito di Governo. Quella guerra era giusta e fu appoggiata da tutti i socialisti europei.

Qual è stato secondo lei l’errore fondamentale di Craxi?

Credo che abbia sottovalutato il clima di rivolta contro la politica in generale. Finita la Guerra Fredda, nell’89, non ci si è resi conto che tutto il sistema dei partiti, con i loro enormi e costosi apparati, sarebbe dovuto cambiare. Invece gli apparati si sono mantenuti, pesanti e inutili. Così per cambiare il sistema politico anziché la via riformista si è presa la via rivoluzionaria. Ma è stata una rivoluzione che, non avendo un progetto, ha distrutto senza poi ricostruire. Si è distrutta la Prima Repubblica e non si è costruita la Seconda.

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