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Cosa succede a Delhi, travolta dalla seconda ondata di Covid

terza dose

Per un momento sembrava che il peggio fosse passato, che l’India fosse riuscita a lasciarsi il Covid alle spalle, raggiungendo l’immunità di gregge. Il governo, per mesi ha ignorato gli esperti che avvertivano della possibilità di una seconda, violenta ondata. E la seconda ondata è arrivata. Dai primi di aprile, il Paese raggiunge ogni giorno un nuovo record di casi, e in poco tempo è tornato ad essere uno dei paesi più colpiti al mondo. I positivi dall’inizio della pandemia sono 15 milioni, quasi 300mila quelli registrati nelle ultime 24 ore e 1,620 i morti in un giorno. La città più colpita, in questa seconda ondata, è la capitale Delhi, dove il governo ha annunciato un nuovo lockdown, a partire da questa sera, per una settimana. Gli esperti, però, non credono che 7 giorni di chiusura saranno sufficienti, e le persone hanno già preso d’assalto i negozi. Il problema principale, poi, sono gli ospedali che non riescono a offrire le cure a tutte le persone che ne necessitano e i posti letto stanno esaurendo: da giorni, le ambulanze con i pazienti in attesa di ricovero stazionano per ore fuori dai più grandi ospedali della città. Come ci ha raccontato Joe Marshal, un ragazzo indiano che vive a Delhi da qualche anno.

Molti governi statali in India hanno già lanciato l’allarme perché il problema principale è che negli ospedali scarseggia l’ossigeno. E anche le medicine necessarie sono poco disponibili. La scorsa volta mancavano le risorse umane, questa volta le abbiamo, ma non abbiamo l’equipaggiamento necessario. Avremmo dovuto imparare, non so perché il governo non ha provveduto a recuperare ciò che serviva. Sarebbero già dovute arrivare, ma ancora non ci sono. Vedremo cosa succederà.

Secondo Joe, la pandemia non è stata gestita al meglio, e il problema è legato sia alle persone e ai loro comportamenti, che al governo.

L’India andava molto bene, fino a febbraio avevamo pochissimi casi. Questa crescita improvvisa ci mette di nuovo in una situazione critica, causata sia dal governo che dalle persone. Improvvisamente la gente ha pensato che il Covid se ne fosse andato e ha ricominciato ad andare al lavoro, al tempio senza prendere le precauzione necessarie. In più, però, in molti stati ci sono le elezioni con comizi ovunque. Poi ci sono state tantissime celebrazioni religiose in questi mesi. Bisogna anche considerare che il covid ha avuto un impatto sui redditi delle persone e per comprare tutte le precauzioni necessarie – dalle mascherine al gel per disinfettante – servono soldi.

Inoltre, i medici indiani hanno iniziato a segnalare la presenza di una nuova variante, che si diffonde molto velocemente, colpendo soprattutto giovani e bambini. I casi continuano a crescere ad una velocità difficile da controllare e nonostante la campagna vaccinale sia iniziata da mesi, non sembra procedere come si sperava. Finora, sono state vaccinate circa 108 milioni di persone, un numero che, su una popolazione di 1,3 miliardi di persone, non è sufficiente.

Alcune persone non sono convinte ed esitano a farsi vaccinare a causa di tutte le notizie che vengono diffuse che non riusciamo a verificare se sono vere o false, ma rallentano notevolmente la vaccinazione. Poi c’è la questione dell’età, perché fino ad ora si sono potute vaccinare solo le persone con più di 45 anni, ma la popolazione indiana è molto giovane, la maggior parte ha meno di 45 anni. Dal primo maggio tutte le persone con più di 18 anni potranno vaccinarsi, quindi credo che i numeri di persone vaccinate saliranno.

Questa seconda ondata, comunque, ha colpito il paese come uno tsunami. E’ arrivata improvvisamente, e l’impatto sulla popolazione – soprattutto quella più povera che si stava pian piano riprendendo dalla prima ondata – è stato devastante. Joe Marshal ci ha raccontato di una Delhi e un’India in ginocchio, che non riesce più a fare i conti con i suoi morti.

Ci sono così tante morti… e le persone non possono andare ai rituali di cremazione dei propri cari morti di Covid, quindi ci sono delle persone che lo fanno per loro. Ma in questi giorni vediamo i corpi ammucchiati nei luoghi adibiti alle cremazioni. Perché in questa seconda ondata ci sono talmente tante morti che non riescono a gestirli. Così come gli ospedali sono pieni, anche i luoghi di cremazione sono pieni. Sono troppi. E’ così triste vedere queste cose…Noi pensiamo di essere in un paese sviluppato ma queste cose continuano a succedere e noi non sappiamo cosa fare né come faremo i conti con tutto ciò nel futuro. Ci sono persone che hanno perso tutto, non hanno più niente, nemmeno le cose più basilari. Molte persone sono morte non a causa del Covid, ma a causa della fame. E’ molto triste vedere questo. Nel futuro, non solo il governo indiano, ma credo tutti i governi del mondo dovranno occuparsi di queste terre povere e risolverlo. Perché la povertà è la malattia più grande. Il Covid tra qualche anno se ne andrà, ma la povertà è la malattia più grande e diffusa che noi abbiamo visto e vissuto in questo anno.

Foto ! New Delhi, India

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    Martina Stefanoni
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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    Anniversario numero 56 per la Strage di Piazza Fontana, quest’anno oltre alle istituzioni nella celebrazione del pomeriggio parleranno una studentessa di un liceo milanese e uno dei vigili del fuoco che entrarono per primi dopo lo scoppio della bomba, ci spiega Federico Sinicato, presidente dell’Associazione dei Familiari delle vittime di Piazza Fontana. “L’importanza del 12 dicembre va al di là della celebrazione e del ricordo che si fa in piazza, è una data storica per l’intero Paese perché è l’inizio della strategia della tensione che produce effetti devastanti e blocca di fatto il grande movimento di riforma del Paese nato dalle lotte dei lavoratori e degli studenti, basta pensare che l’approvazione del Senato dello Statuto dei lavoratori è del 11 dicembre, il giorno prima, il momento fu scelto come risposta all’avanzata dei diritti e se pensiamo che oggi questi valori vengono rimessi in discussione. E’ una data sacra per il Paese”, In Piazza dopo le celebrazioni istituzionali ci sarà il corteo dei movimenti con partenza alle 18.30 da Piazza XXIV Maggio. E ci sarà anche l’inaugurazione del memoriale “Non dimenticarmi“, un’installazione permanente nata dal basso che ricorda le vittime delle stragi, donata al Comune di Milano e installata in Piazza Fontana. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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