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Come funziona la sanità in Cina?

sanità in Cina

Come funziona la sanità in Cina? In questi giorni di piena emergenza causata dall’epidemia di coronavirus COVID-19 in tanti si stanno chiedendo se la Cina sta gestendo il tutto in modo efficiente e qual è la situazione del sistema sanitario cinese alla luce del fatto che la maggior parte dei virus circolati in questi ultimi anni arrivano proprio dal territorio cinese.

Ne abbiamo parlato con la professoressa Francesca Spigarelli, economista dell’Università di Macerata e direttrice del China Center, un centro di ricerca multidisciplinare, presso lo stesso ateneo. L’intervista di Raffaele Liguori a Memos.

Come funziona la sanità in Cina?

La gestione della sanità in Cina è attraversata in questo momento da una riforma molto profonda. Il coronavirus COVID-19 è emerso in un periodo di grande cambiamento avviato ormai da alcuni anni. Si sta andando verso un modello molto simile a quello dell’Italia con una gestione nazionale – è il governo centrale che delinea le strategie e le grandi riforme – e con l’operatività applicata e gestita in modo abbastanza autonomo dalle singole province. C’è un bilanciamento tra l’operatività nazionale e quella locale ed è proprio per questo che abbiamo, così come sul fronte economico con province con un diverso livello di sviluppo economico, province con una diversa copertura e efficienza del sistema sanitario.

Esistono una sanità pubblica e una sanità privata in Cina?

La sanità in Cina è finanziata da tre grossi macro pilastri: il governo, che con la sua spesa pubblica contribuisce prevalentemente alla gestione dei piani di prevenzione e che finanzia le assicurazioni sulla salute; i contributi sociali che vanno a coprire tutte le forme di assicurazione; i pagamenti diretti che i cittadini vanno privatamente a sostenere.
Il governo mette circa il 30% delle risorse destinate alla sanità. Un altro 30% viene dal pagamento diretto dei cittadini e il restante 40% circa dai contributi sociali.
La sanità privata è abbastanza diffusa soprattutto nella forma degli ospedali: nel 2018 la percentuale degli ospedali privati era circa il 60%. La parte privata è ancora prevalente nella gestione degli ospedali, ma questo perché sono in periodo di grandi riforme.
Nel 2029 è stato varato un grosso piano di riforme, Healthy China 2020, finalizzato a garantire una copertura universale alla popolazione e ad estendere le forme di assicurazione sulla salute a più del 90% della popolazione. Healthy China 2020 ha portato delle profondissime trasformazioni della copertura sanitaria. Si è passati dalla fine degli anni 70 con la sanità assolutamente a pezzi e lacunosa, ma tutta gestita dal pubblico, ad un’apertura dal mercato che ha portato in alcuni anni ad avere percentuali pagate direttamente dai cittadini per la copertura sanitaria di circa il 50-60%. C’è stata una vera esplosione delle coperture private e delle soluzioni private proprio perché il pubblico non riusciva a garantire i servizi. Poi però la situazione è divenuta insostenibile, anche perché un Paese che cresce, si sviluppa e diventa economicamente avanzato ha la necessità di garantire ai suoi cittadini un servizio sanitario efficiente ed esteso.

Ospedali pubblici in Cina. Chi paga?

Generalmente il 30% delle spese è pagato dai cittadini privati. C’è una sorta di ticket, ma dipende molto dalla copertura assicurativa che supporta i cittadini. Non è però un sistema come quello americano. La prevalenza della popolazione, circa il 95%, è coperta da uno schema assicurativo finanziato dal governo. Si tratta quindi di coperture assicurative che vengono supportate dal governo con una forma di co-finanziamento.
Bisogna distinguere la situazione ordinaria dalla situazione di emergenza. In questo momento l’emergenza viene gestita in modo completamente gratuito. Tutti i casi di ospedalizzazione e le cure legate a questa emergenza sono coperte gratuitamente dal governo, sia con fondi centrali che con fondi locali. Sia nelle zone rurali che nelle zone urbane, la copertura è completamente gratuita.
In una situazione ordinaria, invece, dipende dal tipo di assicurazione co-finanziata dal governo che il cittadino ha. Dipende se si è residenti in una zona urbana o se si è occupati in una zona urbana (e nella prima categoria rientrano i disoccupati, gli anziani e i bambini), poi ci sono coperture assicurative per chi ha un lavoro nelle zone urbane e quelle per i residenti nelle aree rurali. Ed è lì che la sanità cinese funziona meno: le zone rurali non sono ancora ampiamente servite e coperte.
Quello che sta facendo la Cina in quelle zone in questi ultimi anni è un uso massiccio della tecnologia. Attraverso il supporto di internet e della tecnologia si riesce ad arrivare in zone precedentemente scoperte con la telemedicina in forme evolute. Ci sono delle piattaforme, tutte cinesi e gestite da cinesi, che riescono a garantire una assistenza in remoto, con dottori che sono in alcuni centri e che assistono le persone che vivono nelle zone più lontane con consigli e supporto tramite l’uso del cellulare.

Cina, la sanità e la diffusione dei virus

La Cina sta attraversando un enorme processo di riforma del sistema sanitario che dovrà portare, secondo le previsioni del nuovo piano Healthy China 2030, all’innalzamento degli standard di qualità del sistema sanitario.
Ci sono quindi ancora dei pezzi di Cina in cui l’assistenza sanitaria e le norme igienico- sanitarie non sono assolutamente adeguate. Molto spesso le influenze partono dagli animali e dai mercati, da situazioni igienico-sanitarie non particolarmente elevate.
Vorrei però sottolineare come la Cina, in questi giorni, ci stia dando una prova di grande efficienza nella gestione dell’emergenza e di mobilitazione.

Foto dalla pagina Facebook di People’s Daily China

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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

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    Finanza e Industria, ecco chi ci porta alla guerra

    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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