Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Domenica 31 maggio 2020

Ospedale Fiera Milano

Il racconto della giornata di domenica 31 maggio 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia diffusi oggi agli sforzi del governo per gestire la crisi. Sono passati cento giorni dalla chiusura di Milano e dall’inizio del disastro sanitario lombardo. I riot negli Stati Uniti seguiti all’omicidio di George Floyd mostrano tutti i limiti dell’amministrazione Trump.  Infine i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

(di Sara Milanese)

A oltre 3 mesi dall’inizio conclamato della pandemia in Italia, sono ancora 75 le vittime di coronavirus. I nuovi casi di contagio sono 355.

Due dati entrambi in deciso calo rispetto a ieri, e come sempre fortemente determinati dai numeri lombardi: qui si sono registrati quasi il 60% dei nuovi positivi, 210, di cui solo 13 nella città di Milano, e quasi la metà dei decessi, 33; che ieri però erano stati solo in questa regione, ben 67.

Dati questi che risultano ancora superiori alla tendenza nazionale, ma che si ascrivono al trend positivo degli ultimi giorni.

La Lombardia resta comunque l’unica regione che registra più di 10 morti per covid-19 nelle ultime 24 ore, mentre in nove regioni non ci sono state vittime.

5 quelle che comunicano zero nuovi contagiati: Umbria, Sardegna, Molise, Calabria e Basilicata.

Continua anche il lento svuotarsi dei posti in terapia intensiva, se ne sono liberati altri 15; infine i guariti sono 1874.

Le incertezze del governo, prima e dopo il coronavirus

(Di Luigi Ambrosio)

“Tratteremo il coronavirus come se fosse il colera”, era il primo febbraio quando il ministro della Salute, Roberto Speranza pronunciò queste parole. A rileggerla oggi, con gli occhi del poi, in quella frase c’era già tutto. 

L’impegno del governo nella gestione dell’emergenza è stato totale. Quando il governo afferma che mai uno sforzo più grande fu compiuto, ha ragione. Oltre l’emergenza però, non si è riusciti ad andare.

Si è puntato tutto sulle misure fisiche, vecchia maniera, come ai tempi del colera. [continua a leggere]

La tragedia lombarda ha radici profonde

(di Michele Migone)

La tragica storia dell’epidemia in Lombardia inizia da lontano, dai tagli alla sanità pubblica, dalla scomparsa dei presidi sanitari sul territorio e prosegue con i clamorosi errori di gestione della Giunta regionale, mai ammessi, mai riparati e, purtroppo, enfatizzati dal doloroso bilancio di vittime di questi mesi. La Lombardia è diventato un caso mondiale, in negativo. È stato l’epicentro di un maremoto, ma le misure adottate dal Fontana e Gallera, invece di fare da diga, sono state inefficaci, se non controproducenti. Una strategia diversa, fatta di tamponi e mappatura dei contagi, è stata rifiutata fino a quando non è stata messa nelle mani dei privati a spese del cittadino. Quando è esplosa a Codogno, la risposta all”emergenza è stata mandare i contagiati negli ospedali insieme agli altri pazienti. Intere strutture sono diventate dei  lazzaretti. Medici e infermieri hanno combattuto spesso sprovvisti di mascherine. Nel frattempo, la Regione costruiva l’inutile ospedale in Fiera. Presto verrà smantellato. L’epidemia ha falciato i più anziani. Molti non sono stati neppure portati in ospedale. E se erano nelle case di riposo, il virus andava da loro. La magistratura sta indagando sulle RSA e su quella delibera della Regione che chiedeva alle strutture di accogliere i pazienti positivi. Benzina sul fuoco. Per mesi abbiamo avuto migliaia le persone a casa con la febbre, senza assistenza, in attesa di un tampone che per molti non è ancora arrivato. E poi, le Zone Rosse. Doveva decidere il governo, dicono anche i magistrati. Ma noi sappiamo che avrebbe potuto agire anche la Regione. Tre mesi di Covid 19 in Lombardia. Non era scritto che dovesse andare per forza così.  

I 100 giorni di Milano

(di Diana Santini)

E’ iniziato tutto con un paio di settimane sospese, le scuole chiuse senza neanche un ciao, un balletto di bar che aprivano e chiudevano secondo l’ordinanza del momento, la forzata spensieratezza, quasi curiosa, di chi guarda un’onda crescere e sa di non poterla fermare. Siamo stati increduli. Poi un pomeriggio qualcuno ha detto: Milano non si ferma, seguirono aperitivi. Un’ultima cena il 7 di marzo, la serata che si spegne dentro i cellulari, parla Conte, hanno chiuso tutto. E alla fine si è fermata anche Milano, non prima di un diligente assalto ai supermercati. Seguono giorni di solitudini e di silenzi, di sirene reali o percepite, di strade vuote da far paura. I balconi subiscono una rapida metamorfosi: da allegri palcoscenici di cantate collettive, sì anche mameli, si trasformano presto in fortini da cui lanciare invettive contro l’untore del momento: runner, giovani, vecchietti troppo assidui nei negozi di alimentari. Le cinque giornate di Milano arrivano e passano, il paragone con la resistenza all’invasore è irresistibile per tutti. All’alba sulla 90 ci sono solo gli addetti alle pulizie votati alle nuove esigenze di sanificazione. Per il resto, nelle strade, ambulanze e rider, rider e ambulanze, mentre alla vecchia fiera di Milano va in scena la farsa dell’ospedale covid. Aprile invece non finiva mai, abbiamo aspettato senza aspettarci davvero più nulla. Unico svago, l’introduzione dell’obbligo di mascherine, con relative polemiche sulla disponibilità e qualche più frivola disamina di fogge e modelli. Eravamo pur sempre la città della moda. Poi maggio è arrivato, e siamo usciti barcollando a vedere cos’era rimasto. Oggi è oggi: cento giorni, e non è ancora finita. 

Le rivolte negli USA mettono Trump alle corde

(di Roberto Festa)

La voce più autorevole dell’amministrazione, che ha parlato in queste ore, è quella di Robert O’Brien, il consigliere alla sicurezza nazionale, che in un’intervista a CNN ha negato che negli Stati Uniti esista un problema di razzismo di sistema. Esistono dei poliziotti razzisti, esistono delle mele marce, ha detto O’Brien. L’amministrazione quindi cerca di minimizzare, ma le dimensioni della rivolta per le strade d’America suggeriscono il contrario. Donald Trump e I suoi hanno perso il controllo della situazione. Trump in un primo tempo ha definito “delinquenti” i manifestanti, poi si è appallato alla risposta armata, quindi ieri ha detto che chi attacca la Casa Bianca sarà accolto con I cani e armi. Di fronte a disordini razziali che ricordano gli anni Sessanta, ancora una volta, questa amministrazione mostra tutti I suoi limiti, la sua incapacità di gestione. Questo è del resto un presidente che sin dai tempi della campagna elettorale del 2016 ha sollecitato e ottenuto l’appoggio dei gruppi di suprematisti bianchi e quindi la sua capacità di parlare alla comunità nera, in questo momento, è praticamente nulla. I disordini di questi giorni aggiungono comunque paure e tensioni a una situazione interna già fortemente turbata dall’emergenza coronavirus e dal crollo dell’economia. È insomma un’America che precipita nella crisi, nella confusione, quella che si prepara a votare il prossimo novembre. 

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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