A Genova sono a rischio 1000 posti di lavoro, a Taranto si arriva ad una cifra di circa 14mila persone, considerando gli 8mila dipendenti diretti, i 1.500 in amministrazione straordinaria e il resto dell’indotto. Persone la cui esistenza è appesa a un filo in attesa che il destino si compia, in balia di strategie industriali appena abbozzate e poi in corso d’opera rettificate, con il Ministro Urso che fra rinvii della gara di vendita e tentativi di dividere il fronte, sembra di fatto brancolare nel buio a meno che non si tratti di una strategia ben calcolata, ma per ottenere cosa? Per ora di certo una divisione anche del tessuto sociale delle due città.
Domani pomeriggio in piazza Massena a Cornigliano i residenti hanno convocato una manifestazione per dire “basta ai gravi problemi che i lavoratori dell’ex Ilva stanno creando in tutta Genova”. Hanno chiesto al prefetto di intervenire e di “fermare i blocchi che creano disagi agli ammalati gravi, ai bambini, agli anziani, agli esercizi commerciali e ai lavoratori che rischiano di perdere, pure loro, il posto”.
La stessa insofferenza si vive a Taranto, dove i metalmeccanici sono in strada da ieri a mezzogiorno, bloccando l’Appia e poi la statale 106, dove hanno passato la notte, in una città che da decenni si trova a dover soppesare il diritto alla vita con quello al lavoro. È arrivata ieri la conferma in Corte d’Appello della condanna di primo grado nei confronti dell’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, e di Fabio Riva, figlio ed erede di Emilio Riva, per 20 anni proprietario e gestore del gruppo Ilva. Il Tribunale li ha riconosciuti colpevoli dei veleni emessi tra 1995 e il 2014, condannandoli a risarcire il Comune di Taranto per oltre 20 milioni di euro.
di Valentina D’Amico


