Appunti sulla mondialità

L’Europa al bivio?

Una delle frasi fatte che ascoltiamo più spesso quando si parla dell’Europa comunitaria è quella che la descrive come eternamente “al bivio”. Ma tra quali possibilità? I punti di vista divergono sempre tra chi vorrebbe un rafforzamento delle istituzioni comuni, opzione che presuppone un maggiore trasferimento di sovranità a Bruxelles, e chi vorrebbe invece un recupero di sovranità da parte degli Stati su temi quali l’economia o le politiche ambientali, senza per questo chiedere lo smantellamento dell’Unione. A distanza di 67 anni dai Trattati di Roma, le due anime europee continuano a misurarsi senza mai approdare a una sintesi. L’anima che si ispira all’utopia di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli degli Stati Uniti d’Europa e l’anima nazionalista che è interessata solo ai vantaggi che l’Unione offre in quanto grande mercato interno. Per decenni quest’ultima posizione è stata apertamente sostenuta dal Regno Unito, ma in modo meno esplicito è stata condivisa anche dalle potenze continentali che hanno frapposto ostacoli a una reale trasformazione dell’UE da unione a federazione: soprattutto dopo i referendum franco-olandesi del 2005, responsabili dell’affossamento della Costituzione che avrebbe permesso la nascita di un “superstato”. Nel frattempo, l’Unione cresceva e l’aumento degli Stati membri ha allontanato sempre di più la possibilità di raggiungere l’unanimità necessaria per i passaggi cruciali.

Bisogna però ricordare che esiste già un meccanismo, quello della cooperazione rafforzata, che permetterebbe a un gruppo di Paesi europei di andare oltre i Trattati, ad esempio gestendo in comune la difesa e la politica estera. Ma sono temi molto sensibili. Per i 27 Stati mantenere il comando ciascuno del proprio esercito è sempre gratificante, per quanto il comando sia finto, essendo questi eserciti quasi tutti membri della Nato a trazione nordamericana. Parigi, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha rimesso al centro la questione della difesa comune, ovviamente costruita attorno alla Francia in quanto unica potenza nucleare dell’Unione. Delle altre materie non si parla: cittadinanza comune, gestione dei flussi migratori, welfare, fiscalità. I grandi nodi che potrebbero fare la differenza tra la realtà ibrida attuale e uno Stato sovranazionale. Abbiamo l’euro, anche se solo per 20 Paesi, l’unica moneta nella storia che non viene coniata da uno Stato ma è gestita da una Banca Centrale che deve fare i conti con 20 ministri dell’economia e 20 debiti sovrani, e quindi con lo spread, un fenomeno impossibile da immaginare con qualsiasi altra moneta. Questa anomalia doveva essere solo temporanea, invece sta diventando permanente. Questo lento galleggiare è diventato pericoloso. Nelle campagne elettorali, comprese quelle per le elezioni europee, ormai si parla solo di questioni interne e cresce il disinteresse dei cittadini per un’Unione che sembra molto lontana, ma che in realtà ormai da anni condiziona la nostra vita quotidiana. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, molte delle scelte fatte in campo ambientale, agricolo, economico e culturale sono state dettate dall’UE, che resta un bastione della democrazia e dei diritti a livello mondiale. Non esiste area al mondo dove gli indicatori economici, sociali e politici siano così alti. Ed è proprio questo punto che rende l’insipienza della politica europea un danno non solo per i cittadini comunitari ma anche per il resto dell’umanità. Manca drammaticamente sulla scena internazionale un protagonista con le caratteristiche dell’Unione. Diverso rispetto alle potenze governate da autoritarismi o totalitarismi quali la Russia, l’Iran o la Cina, ma anche diverso rispetto agli Stati Uniti dove la democrazia si sta rapidamente deteriorando ed è nato il “doppio standard” sui diritti in politica estera. Il vero bivio dell’Europa sta qui: deve scegliere se essere protagonista in positivo sulla scena mondiale oppure un semplice conglomerato per lo scambio di beni e servizi. Due posizioni diverse, entrambe rispettabili, sulle quali si spera che gli elettori diano un segnale chiaro.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Biometano fatto bene e transizione agroecologica per ridurre le emissioni climalteranti degli allevamenti. Legambiente e una parte del mondo degli agricoltori sta affrontando questo aspetto dell’inquinamento dell’aria della Pianura Padana. Il metano è molto più impattante sull’effetto serra dell’anidride carbonica, ottantaquattro volte in più. Se ne è discusso in un convegno alla Cascina Nascosta del Parco Sempione di Milano tra esperti scientifici, esperienze agricole e industriali, in Lombardia e Veneto, di recupero del metano dagli allevamenti. Uno dei focus è l’attenzione alle emissioni fuggitive, quelle nel ciclo del recupero primo e dopo lo stoccaggio nei reattori. Nell’Abc dei Domini Collettivi la professoressa Marta Villa dell’Università di Trento affronta Heimat, il legame con i territori di vita che accumuna gli usi civici di questi luoghi, da lasciare migliori per le generazioni future. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Storie di Mozzarelle di Germano Mucchetti, un testo sulla diversità delle paste filate più famose, e i territori di produzione. Descriviamo la riscoperta e valorizzazione di grani locali e tradizionali dell’Appennino romagnolo, ma anche del Parco del Ticino milanese, nonché di antichi forni, del fattore alla Cascina Caremma di Besate, di comunità nel borgo di Morimondo e dell’adiacente Abbazia cistercense. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti con la Fondazione Pierlombardo, in collaborazione con la Regione Lombardia, c’è la descrizione dell’agricoltore filologo Niccolò Reverdini dell’arazzo dedicato ai lavori in campagna di giugno, disegnato dal Bramantino ed esposto al Castello Sforzesco di Milano.

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