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Whistleblower “anti capitalisti” alla sbarra

Da una settimana in Lussemburgo si sta celebrando il processo Luxleaks, lo scandalo che ha rivelato gli accordi fiscali segreti tra il governo e 300 multinazionali (tax ruling), tra le quali Apple, Amazon, Ikea, Deutsche bank, Fiat, Finmeccanica, Unicredit, Intesa San Paolo, tra il 2002 e 2010.

Sul banco degli accusati, non ci sono i responsabili di una delle più grandi operazioni di elusione fiscale del mondo, ma tre cittadini che avevano denunciato il malaffare: gli informatori Antoine Deltour e Raphael Halet, ex dipendenti della società di consulenza PricewaterhouseCoopers (PwC) e il giornalista Edouard Perin del magazine Cash Investigation della Tv pubblica France 2 (che aveva ricevuto i files da Deltour e Halet per la sua trasmissione).

La prima parte del processo si sta focalizzando sulla figura dell’ex revisore dei conti Antoine Deltour, un francese di 30 anni. Entrato in Pwc nel 2008, Deltour scopre che la società di certificazione gestisce anche gli accordi illegali tra governo e multinazionali. Da qui la decisione, nel 2010, di dimettersi e di rendere pubblici i documenti dello scandalo.

Il 28 aprile Le Monde, che sta seguendo il processo, ha riferito che nel corso dell’inchiesta la polizia del Lussemburgo ha potuto accedere ai computer e ai conti di Antoine Deltour. Davanti ai giudici, il commissario Roger Hayard ha testualmente affermato che “siccome non è stata trovata nessuna traccia di transazioni finanziarie sospette, abbiamo cercato un altro movente. Antoine Deltour era dichiarato anticapitalista”. 

Come prova il poliziotto ha fornito i suoi post su Facebook, nei quali il whistleblower ha scritto de di “fare fatica ad accettare che i comuni mortali non possano evitare di pagare le tasse come invece è il caso delle grandi multinazionali”. “Deltour – hanno aggiunto gli inquirenti- seguiva le newsletter del partito dei Verdi ed era abbonato persino al sito di indagini giornalistiche Mediapart”. Antoine Deltour rischia fino a dieci anni di carcere, i reati vanno dalla violazione di dati coperti da segreto al furto e alla frode informatica. Con l’aggravante di essere anticapitalista.

  • Autore articolo
    Chawki Senouci
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    Nato dalla penna di Maurizio De Giovanni e presente in buona parte della sua opera letteraria, il Commissario Ricciardi ritorna nella terza stagione della serie a lui dedicata su Rai1 e sceneggiata dallo stesso autore dei romanzi. Diretto nel 2021 da Alessandro D’Alatri, seguito poi da Gianpaolo Tescari, per la seconda e la terza stagione, Ricciardi indaga nella Napoli degli anni ‘30 in pieno regime fascista, rifiutandone le regole imposte. “Ricciardi non è un protagonista tipico, è un anti-protagonista – spiega Guanciale -. È molto empatico e come il protagonista di La Peste di Camus, si preoccupa di fare bene il suo mestiere a prescindere dalle imposizioni che gli vengono fatte”. Sempre in cerca di giustizia, in una forma di resistenza al potere dittatoriale di Mussolini, molto presente nel contesto dei casi da risolvere. I fantasmi che si aggirano nella mente del Commissario, immaginati nei libri di De Giovanni, nella serie prendono forma durante le indagini. L’intervista di Barbara Sorrentini.

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