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Vera Gheno racconta ‘Grammamanti. Immaginare futuri con le parole’

Vera Gheno è una sociolinguista, traduttrice dall’ungherese, divulgatrice e un’attenta osservatrice della lingua italiana e dei comportamenti dei parlanti anche in rapporto alle nuove tecnologie. Per due decenni ha collaborato con l’Accademia della Crusca (di cui ha gestito l’account Twitter), poi con la casa editrice Zanichelli e ora insegna all’Università di Firenze dove è ricercatrice.
Per definirsi ha coniato un nuovo termine, “grammamante”, che ha dato il titolo al suo nuovo libro. Ne ha parlato con Ira Rubini a Cult…

Il nuovo libro di Vera Gheno, “Grammamanti: Immaginare futuri con le parole”, si legge con la stessa foga con cui si legge un romanzo. Sia per il modo in cui Vera scrive, sia perché, in realtà, parla anche di una storia d’amore: quella con la propria lingua, ma non solo. È pieno di riferimenti che vanno dalla letteratura al cinema, che è bello approfondire. Buongiorno Vera, bentornata.

Cerco sempre di essere transmediale, nel senso che non mi piace isolare un mezzo di comunicazione dall’altro. Penso anzi che sia importante ribadire quanto sia trasversale il concetto di cultura. Sono molto annoiata, infastidita dal concetto di divisione tra cultura bassa, cultura alta, cultura pop, eccetera, quindi cerco di mischiarli il più possibile.

Da quasi 50 anni a Radio Popolare cerchiamo di rendere “alto” ciò che è “basso”. Tutto questo ha un po’ a che fare con il concetto di Grammamante, che si oppone al Grammar Nazi. Possiamo riassumere questi due concetti per chi non ha letto il libro?

Grammar Nazi è una persona che ha una visione molto rigida della lingua con un sistema di regole al quale bisogna attenersi. Cioè, c’è il giusto e lo sbagliato e bisogna andare in giro col ditino alzato a fare il maestrino e la maestrina dalla penna rossa. In ogni “cumpa” c’è sempre qualcuno che dice: ‘No, questo accento è sbagliato. Si dice facocèro, eccetera.

In realtà, il concetto di Grammamanti fa parte della mia storia di persona che scrive libri. Non mi definisco scrittrice, preferisco dire una persona che scrive libri, che mi sembra più umile. Il mio primo libro, nel 2016, si chiamava ‘Guida pratica all’italiano scritto senza diventare Grammar Nazi’. Da allora ne ho scritti altri 14 e questo è il sedicesimo. Sono arrivata a concepire il concetto di Grammamante, che è una mia invenzione. Quindi, mi scuso con i Grammar Nazi che odiano i neologismi perché già sono stata rimproverata per questo. I grammamanti hanno con la grammatica una relazione piena, quasi amorosa. Coi suoi alti e bassi, i chiaroscuri tipici di una qualsiasi relazione amorosa. La lingua non va difesa, la lingua va amata.

Tu parli anche di linguapiattismo, mi piace molto. È un argomento che hai affrontato più di una volta. Vorresti spiegare cosa significa?

È parallelo al terrapiattismo. È una forma di complottismo linguistico. Una delle costanti di qualsiasi complottismo è l’idea che ci sia qualcuno che vuole farci del male, convincerci di questo e quello ed è un concetto che io spesso ho visto traslato proprio nel rapporto con la propria lingua. Quindi professionismo, paternalismo, convinzione che ci sia un disegno oscuro, un  complotto Giudo Pluto massonico, il piano Kalergi della lingua. Insomma, qualcuno vuole distruggere l’italiano e quindi bisogna tenerlo nascosto e difenderlo da tutti gli invasori. Per questo mi è venuto in mente di parlare anche di linguapiattismo in Grammamanti

Tanti italiani portano con sé retaggi culturali multipli, con famiglie che includono elementi di altre nazioni. Proprio da questa prospettiva, si comprende quanto l’italiano sia una delle lingue che si sono trasformate di più e in modo più ricco e interessante nel corso dei secoli

La caratteristica più particolare dell’italiano è che si è trasformato tanto, ma in un tempo relativamente breve. A lungo non è stata la lingua parlata dagli italiani; bisogna arrivare agli anni sessanta del Novecento perché, con l’avvento della televisione, finalmente l’italiano diventi la lingua di tutti. Prima gli italiani parlavano i loro dialetti o, più correttamente, le lingue areali. Le varie lingue locali, quelle che noi chiamiamo dialetti, ma che in realtà sono varietà sorelle e non sono figlie della varietà nazionale. Questo vuol dire che finché non è stata la lingua parlata da una popolazione così ampia, l’italiano si è mantenuto abbastanza uguale a se stesso, tanto che noi a scuola studiamo una grammatica che è poco diversa da quella del Cinquecento, quella bembiana delle prose della ‘volgar lingua’. Ed è solo quando siamo diventati effettivamente parlanti dell’italiano che abbiamo iniziato a modellarlo. Faccio sempre il paragone con i vestiti. Immagina un bellissimo cappotto che nel 500 è stato messo in naftalina e tirato fuori negli anni sessanta del Novecento. Ovviamente, mettendolo, l’abbiamo anche un po’ rovinato. Ora è più comodo di quando ce lo siamo messi la prima volta abbiamo tirato qualche filo, il che è abbastanza normale. Quando il numero di persone che parla una lingua aumenta, si verifica un effetto complessivo di, diciamo così, abbassamento del livello medio di utilizzo.

Torno al tuo ultimo libro, ‘Grammamanti. Immaginare futuri con le parole’. Eviterò di sintetizzare i molti densi contenuti e soprattutto, come ho detto all’inizio, Vera ci fornisce tutta una serie di strumenti per approfondire, appartenenti un po’ a tutte le arti e a tutte le scienze. Ti chiederei invece di spiegare come l’hai costruito perché è un libro che ha una struttura particolare.

Una caratteristica dei miei libri è la struttura molto evidente. Io lavoro così. Nella fase di concepimento del libro lavoro tantissimo sulla stesura dello schemino, quello che odiavo al liceo. Ero una che faceva i temi direttamente in bella. Adesso capisco perché i professori mi odiavano.

Quando ho iniziato a scrivere libri, mi sono resa conto che senza, come diceva Calvino, un disegno dell’opera ben chiaro, non riesco proprio a procedere. Devo trovare una specie di disegno, come se stessi lavorando a un tappeto. ‘Grammamanti’ è composto da quattro quadri della stessa dimensione, che sono quattro storie d’amore. La prima è l’emersione del linguaggio a livello di specie, ovvero la filogenesi linguistica. La seconda è l’emersione del linguaggio a livello della singola persona, cioè come impariamo a parlare nel corso dei nostri primi anni di vita e questo è l’ontogenesi della lingua. Poi, c’è una descrizione della varia e complessa relazione di ogni essere umano con le sue parole. L’ultimo quadretto è il più piccolino, ma quello forse con i colori più intimi, è la storia di come sono diventata grammamante. Quest’ultima parte è l’ultima che ho concepito ed è nata rileggendo dei passi del ‘Convivio’ di Dante. Ora, non intendo assolutamente paragonarmi a Dante. Però c’è un passo del ‘Convivio’ in cui Dante accenna al fatto che senza la comune conoscenza della lingua volgare, i suoi genitori non si sarebbero mai incontrati, mai amati e lui non sarebbe mai nato. Questo mi ha ricordato molto la mia storia personale, perché mio papà è italiano ma ha studiato ungherese, mia mamma ungherese e aveva studiato italiano, e quindi loro due si sono incontrati per via dell’amore per la lingua dell’altro.

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