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“Una tensione che dura una vita”, il centenario di Maris e la memoria della deportazione

maris

Mi chiamo Gianfranco Maris e sono nato tre volte. La prima quando mi partorì mia madre, nella nostra casa di corso Buenos Aires 65 a Milano. Era il 19 gennaio 1921. La seconda nascita è quella ufficiale: 24 gennaio 1921, il giorno in cui mio padre andò in Comune per registrarmi. […]
Ma mi considero nato una terza volta il 5 maggio 1945, quando, arrampicato in cima alla scala di una torretta del campo di concentramento di Mauthausen-Gusen, vidi arrivare una camionetta di soldati americani. Ero giunto in quel campo, dopo un lungo viaggio su un carro bestiame, il 5 agosto dell’anno prima e pensavo che non sarei mai più tornato a casa. Pesavo 38 chili. Quando vidi quella camionetta capii che ero nato un’altra volta. In effetti, dal 5 agosto al 5 maggio intercorrono 9 mesi esatti: il tempo di un’altra gestazione. Di questa mia terza nascita ricordo tutto, ogni dettaglio.

Così Gianfranco Maris comincia a raccontare come testimone in “Per ogni pidocchio 5 bastonate”, testo oggi ristampato insieme a suoi scritti ed interventi in Oltre Mauthausen (Mimesis, Milano 2021): la liberazione del campo di Mauthausen è vissuta da Maris come una terza nascita che il centenario promosso dalla Fondazione Memoria della Deportazione non poteva non segnare.Nove mesi nell’universo dei Lager fanno eco alla nascita naturale nella consapevolezza di scelte di vita, di esperienza di dolore, di patrimonio culturale, di sfide per il futuro e fanno del vissuto il destino di un uomo.Suonano ormai a tutti e tutte noti i nomi di Auschwitz, Mauthausen, Dachau, Buchenwald, Ravensbrück. Meno diffusa resta invece la consapevolezza che i Lager fossero come diceva Primo Levi “impianti piloti” del destino voluto dai nazifascisti per l’Europa.

Il Lager di Mauthausen all’interno dell’universo concentrazionario era un Lager di terza categoria, dove le SS, fin dalla fine degli anni Trenta, avevano sperimentato lo sfruttamento della manodopera dei reclusi per l’arricchimento del Reich: lì finivano i dissidenti politici considerati irrecuperabili, lì nella cava di pietra, si è messo a punto quel sistema che poi applicato in tutti gli altri Lager ha riportato nel cuore dell’Europa del 900 la schiavitù. Il “Nuovo ordine europeo” voluto dal nazismo implicava una germanizzazione del continente che prevedeva tanto l’abolizione di quelle razze considerate estranee e inferiori (ebrei e zingari) che la riduzione delle popolazioni dell’est europeo a popolo lavoratore privo di dirigenza politica e di cultura propria. La creazione dell’universo concentrazionario è funzionale alla realizzazione di questo progetto contro cui uomini e donne come Maris si batterono.In quello scontro da partigiano Maris fu arrestato e deportato come politico e, da sopravvissuto, la memoria di quello scontro divenne la radice del suo agire di uomo libero.

La memoria che Maris insieme ai suoi compagni e compagne di deportazione aveva riportato dal Lager “non era la speranza di una memoria del nostro singolo dolore o sofferenza, era la memoria delle finalità della nostra lotta, perché noi proiettavamo nel futuro quella lotta con una premessa sulla quale costruire un avvenire” (Orazione dattiloscritta per il Monumentale, 1 novembre 1998)
Per il centenario della terza nascita di Maris, lontano da celebrazioni o mitizzazioni, l’impegno condiviso con tanti partner, con tanti uomini e donne di buona memoria, permette la realizzazione di un ricordo diffuso, che crea spazi di memoria, disegna un sentiero di parole, che attraversa il nostro paese e ne squarcia la primavera con l’urgenza di un messaggio che viene da lontano, ma continua a interrogarci.

Alle ore 18 del 5 maggio Radio popolare dà il segnale alle 19 attrici del Collettivo Progetto Antigone che compiono lo stesso gesto di memoria in 17 città italiane, a Mauthausen e a Parigi. In ogni città ci si ritrova intorno a un testo in cui le parole di Maris si intrecciano a quelle di testimoni della deportazione femminile. Il percorso biografico di Maris è evocato dalla scelte delle città, mentre la ricchezza umana e culturale della deportazione è raccontata attraverso l’intreccio di storie diverse. Non c’è storia della deportazione senza tale intreccio, insegnava Maris e continua a insegnare l’Associazione Nazionale ex deportati di cui egli è stato presidente dal 1978 alla sua morte nel 2015.Il progetto ha una chiara fonte d’ispirazione nella lettura che in Francia Bagages de Sable propose nel 1995 a partire dal “Convoi du 24 janvier” di Charlotte Delbo; ha due radici importanti: la cura dell’immaginario che permette alla memoria di diventare sensibilità del presente e immaginazione del futuro e la volontà di vivere i propri luoghi e con il proprio corpo certificare le idee in cui si crede; e porta con sé il desiderio di far risuonare, nel centenario della terza nascita di Maris, un coro di voci femminili che dia eco alla deportazione politica.Da una parte, è stato fondamentale nel lavoro di organizzazione la collaborazione coi partner nella scia di un modo di lavorare che fu di Gianfranco Maris.

Rivolgendosi ai suoi compagni, Maris diceva: l’Aned è “quello che noi facciamo, il noi stessi; vivere è l’Aned” e il sentimento di appartenenza è così forte perché l’Aned, la vita dopo il campo, “è anche la vita dei compagni che non ci sono più“. Alla rete dell’Aned in primis e ai tanti i partner che condividono l’impegno per la memoria ci siamo rivolti per rendere vivo sul territorio questo momento.Dall’altra parte, il progetto è si è potuto realizzare grazie alla presenza su tutto il territorio nazionale del Collettivo Progetto Antigone, collettivo composto da venti attrici che si sentono “responsabili della memoria e della trasmissione di alcune storie importanti della nostra cultura”. Ci ha accompagnato in questo progetto la convinzione che lavorare quotidianamente, con consapevolezza ma senza schiamazzi, sul rapporto tra donne e potere significa anche fare i conti con la memoria poiché la memoria è una forma di potere sull’immaginario capace di incidere sul presente e sulla sua sensibilità. Far portare il racconto di Maris da voci femminili e intrecciare alle sue parole testimonianze di deportate ha significato ribadire l’importanza della prospettiva femminile nel costruire la consapevolezza dell’esperienza lontano dalla retorica e nelle scelte della vita vissuta. Abbiamo rifiutato di fare qualsiasi tipo di evento da remoto e ritenuto importante l’incontro intorno a un testo portato da un’attrice; abbiamo deciso di farci coordinare dalla radio perché fu la radio che nella primavera del 1945 diede le prime notizie degli italiani sopravvissuti diffondendo la lista dei loro nomi; abbiamo voluto un gesto compiuto nello stesso momento perché crediamo nell’importanza del simbolico; abbiamo messo al centro una voce che chiede di essere ascoltata perché sappiamo che ascoltare non è mai un’azione passiva. Ascoltare una storia è sempre già prepararsi a ripeterla, facendola propria e raccontandola a proprio nome.

Una tensione che dura tutta una vita
spazi di memoria per un ricordo diffuso Progettazione del ricordo diffuso
Elisabetta Ruffini e Floriana Maris
Testi preparati e scelti
Elisabetta Ruffini
Comitato organizzativo
Floriana Maris, Elisabetta Ruffini, Ionne Biffi, Massimo Castoldi, Marco Bertoli, Elena Gnagnetti, Vanessa Matta.
Comunicazione
Agnese Vigorelli
Voci per il ricordo diffuso
Collettivo Progetto Antigone
Media Partner
Radio Popolare
Partner
Abruzzo: Comitato Provinciale ANPI Pescara “Ettore Troilo”; Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea (IASRIC); Basilicata: Sotto Il Castello Associazione culturale (SIC); Calabria: Città Metropolitana di Reggio Calabria; Emilia Romagna: Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea di Reggio Emilia (ISTORECO), Fondazione Fossoli, Comune di Carpi; Friuli Venezia Giulia: ANED sezione di Udine; Lazio: ANED sezione di Roma; Liguria: ANED sezione di Savona; Lombardia: Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti (ANED Nazionale), Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) – Comitato Provinciale ANPI Milano, Istituto Nazionale Ferruccio Parri, Comune di Milano e Comune di Bergamo, Associazione Maite, Isrec Bergamo; Piemonte: ANED sezione di Torino, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea ‘Giorgio Agosti’ (ISTORETO), Polo del ’900; Puglia: Fondazione Casa Rossa; Sardegna: Comitato Provinciale ANPI Sassari, Università degli Studi di Sassari; Sicilia: Comitato Provinciale ANPI Palermo “Comandante Barbato”; Toscana: ANED sezione di Firenze; Trentino Alto Adige: Comitato Provinciale ANPI Alto Adige Südtirol; Veneto: ANED sezione di Verona; Austria: Fondazione Museo della Deportazione e Resistenza di Prato, Mauthausen Memorial, Associazione Perspektive Mauthausen; Francia: Amis de la Fondation Mémoire de la Déportation (Délégation de Paris), Amicale de Mauthausen (Paris) e Lycée Rodin Paris
In collaborazione
Collettivo Progetto Antigone, Istituto bergamasco della Resistenza e dell’età contemporanea (ISREC – Bergamo)Con il patrocinio, Associazione Nazionale Ex Deportati, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, Istituto Parri

Foto | La manifestazione a Mauthausen per il 50enario della Liberazione nel 1995

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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