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Un dilemma tra politica e guerra

«L’obiettivo è stabilizzare la Libia». Parola del ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, in un’intervista oggi al Corriere della Sera.

Stabilizzare, stabilizzazione. È una complessa, complicata, rete di operazioni (politiche e diplomatiche) per cercare di dare una forma istituzionale e di governo alla Libia. Il premier designato libico Fayez Al Serraj non si è ancora insediato a Tripoli. A lui si è arrivati dopo una lunga trattativa, durata un anno e mezzo, tra il Congresso Nazionale di Tripoli e il Parlamento di Tobruk.

La stabilizzazione della Libia, con l’atteso insediamento del governo di unità nazionale, appare come l’unica alternativa concreta a una guerra, a un intervento militare. Perché? È lo stesso Gentiloni a spiegarlo. «L’Italia, insieme ai partner internazionali e regionali – dice il ministro degli Esteri al Corriere – sostiene la determinazione del governo di accordo nazionale guidato da Fayez Al Serraj di installarsi a Tripoli”. L’obiettivo è dunque stabilizzare il Paese. «Tutto questo deve avvenire – prosegue Gentiloni – in tempi ragionevoli, altrimenti si rischia di far prevalere l’impostazione di chi sostiene che stabilizzare la Libia è una chimera e quindi bisogna far partire una campagna aerea massiccia contro le postazioni jihadiste». Attenzione, sembra dire Gentiloni, occorre fare in fretta con il governo di unità nazionale altrimenti arriveranno i bombardieri.

Farid Adly

Della Libia sull’orlo del dilemma tra opzione politica ed opzione bellica Memos ne ha parlato oggi con Farid Adly e Alessandro Colombo, ordinario di relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano. Farid Adly, profondo conoscitore della situazione libica, ha descritto il complicatissimo puzzle di forze che agiscono nel Paese. Non solo le due principali di Tripoli e Tobruk, ma anche le “minoranze” che agiscono all’interno di ciascun fronte e che rifiutano il compromesso che ha portato alla designazione di Fayez al Serraj. Infine, Farid Adly descrive la presenza dei jihadisti di Daesh che ha raggiunto ormai un’estensione di circa duecento chilometri di costa nella parte centrale della Libia.

Alessandro Colombo
Alessandro Colombo

Ospite della trasmissione di oggi anche l’esperto di relazioni internazionali Alessandro Colombo. Il professore della Statale di Milano sostiene che «l’ingresso di Daesh in Libia non è la causa della frammentazione, ma ne è uno dei prodotti. La Libia non è frammentata da quando sono entrati i jihadisti, ma dal 2011, così come la Siria e l’Iraq sono frammentati da prima dell’ingresso o della invenzione di Daesh. Quindi – prosegue Colombo – concentrare tutta la nostra attenzione sulla lotta a Daesh come chiave per la ricostruzione della stabilità della Libia sarebbe un colossale autoinganno».

Professor Colombo, quindi un intervento armato in Libia concepito come risposta agli attentati dello jihadismo in Europa sarebbe ingiusticato?

«Diciamo che ci sono due problemi diversi, in questo momento. Un problema, naturalmente, è la presenza di questi gruppi jihadisti. L’altro problema è quello della stabilizzazione della Libia. La stabilizzazione della Libia non è pregiudicata dai jihadisti, che sono arrivati dopo. La stabilizzazione della Libia è pregiudicata dal collasso dello stato libico che viene prima dell’ingresso dei gruppi jihadisti. Su questo punto bisogna essere chiari per evitare non soltanto di ricostruire un processo storico in modo fantasioso, ma anche per evitare di fare scelte sbagliate da qui ai prossimi mesi».

Il professor Colombo sostiene infine che c’è una sorta di specularità tra la frammentazione interna alla Libia e quella al fronte delle forze esterne al Paese. Divisi sulla concezione di un intervento militare in Libia. «L’Italia – sostiene Colombo – è forse il paese più prudente. Lo è, tanto per cominciare, per la prossimità geografica. Un eventuale nuovo errore, gemello di quello del 2011, potrebbe avere conseguenze drammatiche sulla stabilità del Mediterraneo e del paese più vicino alla crisi libica. Gli altri Paesi (del fronte occidentale, ndr) mi sembra invece che siano molto più disponibili a vedere la questione libica sotto l’angolatura della pura e semplice lotta al terrorismo. La lotta al terrorismo – conclude Colombo – è certamente un elemento, ma la questione libica non può essere ridotta solo ad essa. La lotta al terrorismo è solo un capitolo e per di più un capitolo sopravvenuto, non quello originario, della questione libica».

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    Raffaele Liguori
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    Ottanta anni fa, dalla lotta di Liberazione, nasceva l'Unione Donne Italiane

    Nell'ottobre del 1945 nasceva l’Udi, Unione donne italiane, ora sul sito della storica associazione si legge Unione donne in Italia, perché – spiegano – anche le donne che vengono da altri paesi possono entrare nell’Udi e sentirsi unite in battaglie che dopo 80 anni non sono ancora terminate. È quella per difendere la 194 da chi in questo governo vuole limitarla, svuotandola, quella per ottenere il “bilancio di genere”, come spiega Liviana Zagagnoni, responsabile nazionale dell’Udi. Una legge di bilancio pensata anche per le donne, con investimenti per gli asili nido e per i congedi parentali e poi quella per avere una vera parità di genere, nei salari, ma anche nelle relazioni, per una società senza più femminicidi. Una storia iniziata ottanta anni fa da ragazze e donne che fecero la Resistenza e che quella partecipazione attiva nella lotta di Liberazione volevano continuarla per ottenere dei diritti, a cominciare da quello del voto. Lo ricorda Luciana Romoli, staffetta partigiana di 95 anni, una delle fondatrici dell'Udi, incontrata al convegno che alla Camera dei deputati celebra l’anniversario e che ci racconta la sua storia e l’ostilità che l'Udi trovò negli uomini, anche del partito comunista. Le interviste di Anna Bredice.

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    Ersilia Bronzini Majno nasce a Milano nel 1859. Sensibilissima alle difficoltà delle donne, soprattutto delle meno fortunate, si unisce presto ad altre pioniere del femminismo italiano, Laura Solera Mantegazza, Alessandrina Ravizza, Anna Kuliscioff. E nel 1899 è cofondatrice dell’Unione Femminile, la prima realtà italiana per l’emancipazione delle donne, alla quale farà seguito la creazione del celebre Asilo Mariuccia, per l'infanzia abbandonata. Lucia Tancredi, che da anni racconta storie di donne che hanno fatto la storia del femminismo, firma il libro "Ersilia e le altre" (Ponte alle Grazie"). L'intervista di Anna Bredice a Lucia Tancredi.

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    1980, crocevia dello stragismo in Italia: dalla stazione di Bologna agli omicidi Bachelet, Costa, Galli, Amato e Tobagi. E poi l'assassinio di Piersanti Mattarella e la strage di Ustica. Gli interessi dei poteri criminali (da cosa nostra all’eversione nera a pezzi “infedeli” dei servizi segreti, i poteri occulti), a volte convergenti o soltanto paralleli. Dell’omicidio Mattarella restano ancora i segni di quella pista nera il giudice Falcone riconobbe e seguì nella seconda metà degli anni ‘80. Pubblica ha ospitato la giornalista e saggista Stefania Limiti e l’ex direttore dell’istituto “Ferruccio Parri” Emilia-Romagna Luca Alessandrini.

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    Sta diventando impossibile lavorare i propri campi per i contadini della Cisgiordania, soprattutto tra Hebron e Nablus, circondate da nuovi avamposti dei coloni. Le aggressioni si moltiplicano insieme alle minacce e allora diversi gruppi di contadini solidali si sono mossi per andare ad aiutare gli olivicoltori palestinesi. Questo è il racconto di Francesco Franchi della comunità agricola Mondeggi Bene Comune di Firenze, che ci descrive la sensazione di essere circondati, ma anche l’importanza della raccolta dell’olive, dell’importanza dell’olio e del potersi aiutare tra contadini, una pratica che contraddistingue la cultura dei campi mediterranea. “Per noi agricoltori è insopportabile che un momento comunitario e collettivo come la raccolta, non possa avvenire in sicurezza”. L'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli.

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