La decisione è arrivata alle 3 di mattina, dopo una lunghissima nottata di trattative tra i 27 leader, di fatto affossando quella che fino alla vigilia del Consiglio Europeo era considerata l’unica vera opzione sul tavolo per garantire il prestito all’Ucraina da 90 miliardi per i prossimi due anni, cioè utilizzando gli asset russi immobilizzati. Invece, il testo di compromesso che andava incontro alle esigenze del Belgio non è passato e allora si è dovuto ripiegare sulla seconda opzione, quella del prestito, utilizzando il bilancio dell’Unione Europea con l’emissione di debito comune. Per dirla in modo più semplice: al posto di utilizzare i soldi russi, si andranno a utilizzare i soldi dei contribuenti europei per un prestito che sarà restituito solo quando Mosca pagherà a Kiev le riparazioni di guerra. Anzi, nemmeno tutti gli europei. Perché, per non far naufragare anche questa opzione, che richiedeva l’unanimità, si è concesso a chi non vuole partecipare al debito comune di tirarsi fuori. Cioè Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Alla fine, quindi, si è usciti dal Consiglio con una risposta positiva all’Ucraina, ed era questo l’essenziale. Ma il prezzo da pagare è alto per la presidente della Commissione Von der Leyen e il cancelliere tedesco Merz, che avevano puntato tutto sugli asset. Ne esce vittorioso Orban, che può rivendicare davanti agli elettori che l’Ungheria non spenderà un centesimo e davanti a Trump – e Putin – che ha impedito l’uso degli asset russi. Meloni e gli altri leader dovranno, invece, spiegare ai propri cittadini che la soluzione chiede un nuovo carico finanziario.
Federico Baccini, da Bruxelles


