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Turismo non solo svago

La geografia del turismo, cioè la mappa delle destinazioni in cui si reca il miliardo e 200 milioni circa di turisti che scelgono di trascorrere il tempo libero fuori dai propri confini nazionali, è cresciuta e si è arricchita negli ultimi 30 anni. Prima degli anni ’80, l’Europa attirava quasi il 75% dei flussi, mentre nel 2015 ne richiama “solo” il 51%. Questo perché la rivoluzione del traffico aereo, la fine della Guerra Fredda, la globalizzazione, l’aumento della speranza di vita e del reddito in Occidente hanno triplicato i flussi turistici, ai quali cominciano a dare un importante contributo anche i paesi emergenti come Cina, Russia e Brasile.

Negli ultimissimi anni, però, questa crescita si è arrestata e anzi, la mappa delle destinazioni si sta restringendo. Interi Paesi sono diventati off-limits per via di conflitti, come la Siria, l’Afghanistan o la Libia. Altri vengono evitati a causa della violenza nelle città, come il Venezuela o la Nigeria. Altri, infine, perché ritenuti poco sicuri dopo episodi terroristici che hanno colpito i turisti. La Tunisia è stata più volte colpita e ora anche l’Egitto, dove sul Sinai è stato fatto esplodere un charter russo con il tragico bilancio di 224 persone morte. Ma non solo. Anche i villaggi sul Mar Rosso sono stati attaccati più volte da gruppi terroristici che sanno bene dove puntare: per l’Egitto, il turismo e i diritti di passaggio dal Canale di Suez sono la prima voce del bilancio dello Stato.

Il paese sul Nilo, che è una delle più antiche destinazioni di turismo culturale del Mediterraneo, a partire dagli anni ’80 aveva aperto anche al turismo da spiaggia sulle coste del Mar Rosso. Raggiungendo numeri di tutto rispetto, come erano i 14 milioni di visitatori registrati nel 2010. Poi è cominciato il declino, dovuto all’instabilità politica e al terrorismo. Oggi i turisti internazionali si possono stimare in non più di 7 milioni all’anno, la metà rispetto a 6 anni fa. Tra i grandi Paesi di provenienza per il turismo egiziano c’è l’Italia, con circa un milione di presenze annue ai tempi d’oro. Ora si aggiunge un’ulteriore variabile negativa per il Cairo: il caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso dopo sevizie inenarrabili, ha innescato in Italia un movimento d’opinione che chiede di utilizzare la leva turistica per ottenere risposte veritiere dal governo egiziano.

È dai tempi della dittatura in Birmania e della carcerazione del Nobel per la pace Aung San Suu Kyi che non si ipotizzava di utilizzare il turismo come arma di ritorsione contro una dittatura. Il turismo non è soltanto una voce importante dell’economia globale, ma è anche un veicolo per la conoscenza e lo scambio pacifico tra i popoli. Il turismo si è dotato in questi anni di strumenti etici per condannare, ad esempio, lo sfruttamento sessuale o lo scempio ambientale. La domanda che si è posta l’Associazione Italiana Turismo Responsabile, il network italiano degli operatori del turismo sostenibile, al momento di annunciare la sospensione della programmazione di viaggi verso l’Egitto, è stata: è lecito portare turisti italiani a conoscere un Paese nel quale un nostro connazionale è stato torturato e ucciso senza che ci siano date spiegazioni? È corretto sostenere indirettamente, con i soldi dei viaggiatori, un regime responsabile della sparizione di centinaia di oppositori dei quali non si sono più avute notizie?

La risposta, per AITR, è stata no. E ciò ha aperto un dibattito con il settore turistico convenzionale, che in Egitto ha investimenti miliardari. Ma a prescindere dalle polemiche sull’opportunità di chiedere ai turisti di evitare di andare in Egitto, i consumatori stanno scegliendo da soli, mettendo sul piatto della bilancia aspetti che riguardano sia la sicurezza personale sia l’irritazione per le manovre di depistaggio attuate dal regime egiziano. Il turismo torna così alla ribalta come qualcosa di più di una semplice attività economica, per diventare anche strumento di pressione e di politica internazionale. Gli stessi turisti che sempre più spesso sono nel mirino dei terroristi possono a loro volta, da consumatori responsabili, mettere nel mirino i regimi con una semplice azione. Decidere di cambiare destinazione, verso Paesi più aperti, più tolleranti, più democratici. Una storia, quella del turismo responsabile, che in Italia e in Europa ha introdotto grandi cambiamenti nella percezione e nella pratica del turismo.

Una storia raccontata nel libro appena uscito, Il viaggio e l’incontro: che cos’è il turismo responsabile che ho firmato insieme a Maurizio Davolio, attuale Presidente di AITR per l’editore Altreconomia di Milano (http://www.altreconomia.it/site/ec_articolo_dettaglio.php?intId=315)

  • Autore articolo
    Alfredo Somoza
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    Gli accampamenti alla Columbia University contro i fondi per Israele in un documentario

    Kei Pritsker, regista con Michael T Workman del documentario “The Encampments”, racconta ai microfoni di Radio Popolare i retroscena della protesta studentesca pro Palestina alla Columbia University. “Gli studenti della Columbia protestano da anni per la Palestina e per ottenere che l’università dismetta gli investimenti in Israele – spiega Pritsker. L’università ha un ingente fondo di dotazione che investe in ogni sorta di attività, molte delle quali riguardano aziende produttrici di armi, aziende manifatturiere che realizzano armamenti, motori per elicotteri, bulldozer e ogni tipo di attrezzatura utilizzata in queste operazioni”. “The Encampments” fa parlare i ragazzi e le ragazze di questo movimento studentesco che dall’aprile del 2024 ha montato le tende nel giardino del Campus per chiedere trasparenza, il ritiro del denaro dagli investimenti israeliani e l’amnistia per gli studenti puniti per le proteste. “Chiunque creda ancora a questa narrativa sull’antisemitismo nel movimento per la Palestina dovrebbe semplicemente guardare il film – assicura Kei Pritsker”. Al momento “The Encampments” ha una distribuzione indipendente che lo diffonde nei cinema più coraggiosi. L'intervista di Barbara Sorrentini per la trasmissione Chassis.

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