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Tribunali in tilt: i giudici sono in cella

Udienze cancellate, aule dei tribunali vuote, fascicoli abbandonati sulle scrivanie. E’ caos nei tribunali turchi dopo che un magistrato su quattro è stato licenziato o fermato dalla polizia nella repressione del dopo-golpe. Nessuno osa protestare, perché nessuno capisce cosa stia succedendo. Lo racconta a Popolare Network un’avvocata turca che abbiamo raggiunto a Istanbul e che preferisce che il suo nome non venga pubblicato.

Avete saputo chi sono i magistrati arrestati o licenziati?

“Abbiamo letto i nomi sui giornali, ma stiamo parlando di quasi 3.000 giudici e procuratori: sono tantissimi. Fra questi, ci sono 148 giudici della Corte Suprema in stato di fermo e anche due giudici della Corte Costituzionale. Sono nelle mani della polizia: non sappiamo ancora se il fermo verrà trasformato in arresto o se verranno liberati. Sappiamo che i quasi 3.000 giudici epurati sono sia di Istanbul, sia di Ankara, sia di tante altre città turche”.

Alcuni di questi giudici sono magistrati noti?

“Due di loro sono membri della Corte Costituzionale e dunque sono conosciuti. E ci sono dei procuratori che conosco, noti per le loro inchieste politiche. Ma in genere i giudici turchi fanno il loro lavoro in silenzio: non vanno sui giornali, non sono noti all’opinione pubblica. I 148 giudici della Corte Suprema sono abbastanza conosciuti, perché è un incarico molto importante”.

Quanti sono i giudici colpiti da questa epurazione rispetto al totale dei magistrati turchi?

“Quasi il 25%: un numero enorme. Posso dire che un giudice su 4 oggi in Turchia è stato licenziato o è in cella. Ieri sera sono iniziati i loro interrogatori, che proseguiranno anche oggi. Non sappiamo nulla della loro situazione. Intanto, il sistema giudiziario è in tilt. Molti aule o procure sono vuote, perché i magistrati sono stati licenziati o fermati.

I giudici rimasti continuano a lavorare: non tutte le udienze sono state cancellate. I magistrati rimasti sono stati autorizzati a prendersi in carico i processi dei loro colleghi epurati. Ma è una soluzione che non funziona, perché le aule di giustizia rimaste vuote sono tante in questo momento”.

Fra gli avvocati c’è paura? Temete di essere accusati anche voi?

“Non posso dire che gli avvocati in particolare siano in pericolo. Certo, tutti i professionisti in Turchia – compresi gli avvocati – sono coscienti che possono sempre rischiare problemi con le autorità. Ma noi avvocati non abbiamo la sensazione di essere un bersaglio in questo momento”.

L’Associazione magistrati turca non dice niente? Non ha protestato per l’arresto di così tanti suoi membri?

“Non ufficialmente. Ci sono solo degli appelli da alcune ong che si occupano dei diritti umani che ricordano che bisogna procedere secondo la legge: solo questo. Dovete capire che quel che è successo nella notte di venerdì ha profondamente scioccato i cittadini turchi. Il giorno dopo è scattata questa enorme ondata di arresti nei confronti dei soldati, dei poliziotti e dei magistrati accusati di essere coinvolti nel golpe. L’opinione pubblica ora è confusa. Cerchiamo di capire quello che succede. Non ci sono proteste per il momento, perché le indagini continuano e noi non sappiamo nulla”.

Continuerà ad andare in tribunale nei prossimi giorni?

“Sì, noi avvocati continuiamo ad andare in tribunale. Di solito dal 20 di luglio e per tutto agosto i tribunali chiudono per le ferie dei magistrati, ma ora il governo ha sospeso le ferie di tutti i dipendenti pubblici. Il ministero della giustizia ha ordinato ai magistrati di lavorare anche nella pausa estiva. Quindi anche noi avvocati lavoreremo”.

  • Autore articolo
    Michela Sechi
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    Nubi sull'università italiana: si moltiplicano le adesioni alle università private telematiche, mentre alle statali il governo Meloni taglia i fondi. Ospite l'economista Gianfranco Viesti. E poi, il caso Raiplay Sound, la censura nei confronti di un podcast – prima autorizzato e poi annullato - sulla storia di Margherita Cagol, una delle fondatrici delle Brigate rosse. A Pubblica Nicola Attadio, uno degli autori insieme al giornalista Paolo Morando e al musicista Matteo Portelli.

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