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Stampa a processo: verso una sentenza già scritta

“Questa persecuzione deve finire”.

Titola così oggi il quotidiano Cumhuriyet  in occasione della  sesta udienza del processo che vede alla sbarra 18 suoi lavoratori, per la maggior parte giornalisti. Cumhuriyet significa “Repubblica” e con i suoi 94 anni di vita ha la stessa età della repubblica fondata da Mustafa Kermal Ataturk:  è il più antico quotidiano del paese ancora in circolazione, voce della Turchia laica delle origini. Fra le sue pagine negli anni hanno transitato fra le firme più note ed autorevoli del panorama intellettuale turco.

Una Turchia incredula assistette , ormai quasi due anni fa ed a pochi mesi dal fallito golpe, alla raffica di arresti  a carico di impiegati e giornalisti fra cui il Direttore Murat Sabuncu,  il presidente Akin Atalay, e il reporter Ahmet Sik che attualmente sono ancora in carcere. Le accuse, risultate subito insolite per un giornale nazionalista e  laico,  quelle di affiliazione ad organizzazioni terroristiche  come il PKK, il partito curdo dei lavoratori, e come Feto, la presunta rete golpista legata all’Imam Fetullah Gulen.

Particolarmente curiosa la vicenda di Ahmet Sik, uno dei 3 ancora in carcere: apprezzato reporter investigativo, vincitore nel 2014 del premio mondiale Unesco per la libertà di stampa, nel 2011 venne già arrestato per aver scritto un libro “L’esercito dell’Imam”  proprio  dedicato a Fetullah Gulen e alle infiltrazioni del suo movimento nell’apparato statale turco. Il tutto  ai tempi in cui Erdogan e il religioso condividevano ancora il progetto dell’Islam politico con cui erano riusciti a mettere da parte i militari. Ora in carcere per motivo opposto, Ahmet  Sik è in attesa di giudizio anche per quel processo. Già nel 2013  a proposito della sua vicenda il giornalista disse “ Sono molto pessimista sulla situazione, che a mio parere peggiora e non credo purtroppo avrà un’evoluzione positiva. Man mano che passano gli anni ci sarà sempre meno libertà d’espressione.”

Quello a Cumhuriyet è un processo storico ed oggi fuori dal Tribunale di Silivri, il carcere di Istanbul ormai tristemente noto per essere quello in cui vengono rinchiusi i giornalisti, si è radunata una folla consistente di scrittori , registi, familiari, politici che chiedono la libertà  di amici e colleghi che rischiano fino a 45 anni di carcere. L’impianto accusatorio è contraddittorio, le prove, come l’utilizzo di un’applicazione o il contenuto di certi articoli, molto deboli, ma il clima del paese ed il precedete di meno di un mese fa, la condanna all’ergastolo dei due noti giornalisti, i fratelli Mehmet e Ahmet Altan con le stesse accuse, fanno temere una sentenza già scritta.

  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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