L’escalation della campagna di deportazione di massa avviata dall’amministrazione Trump passa anche, e soprattutto, dall’uso delle nuove tecnologie. Una strategia che si muove su più piani. Uno di questi è stata l’attività del DOGE; il dipartimento affidato a Elon Musk che ufficialmente aveva il compito di tagliare le spese federali in nome di un “efficientamento” a livello governativo.
In realtà, la task force messa in piedi dal patron di Tesla ha portato ben pochi risultati a livello di risparmio, ma ha permesso al governo Trump di abbattere tutti quelli che in gergo vengono chiamati “silos” nella raccolta dei dati. In pratica, il DOGE ha permesso di collegare informazioni dei diversi organi federali e creare un gigantesco database che permette di tracciare le attività di qualsiasi persona che viva negli Stati Uniti. Un’attività che ha sollevato numerose polemiche, in particolare per la violazione del Privacy Act del 1974, che prevede una stretta regolamentazione nell’uso delle informazioni in possesso dei vari enti federali.
A trarne vantaggio è stata l’ICE, l’Immigration and Customs Enforcement protagonista negli ultimi mesi delle retate anti-immigrati che ormai si spingono ben oltre qualsiasi confine di legalità. L’agenzia utilizza da tempo strumenti tecnologici per tracciare e deportare gli immigrati sul territorio statunitense, sfruttando anche contratti con aziende private per acquisire i dati di applicazioni e servizi online che permettono di rivelarne l’identità. In alcuni casi, poi, ICE ha adottato politiche ancora più spregiudicate. The Intercept, per esempio, ha segnalato la pubblicazione su LinkedIn di una “offerta di lavoro” diretta a ex poliziotti e investigatori privati. L’annuncio, pubblicato da una società che ha un contratto di collaborazione con il Departement of Homeland Security, da cui dipende ICE, prevede una taglia di 300 dollari per ogni immigrato individuato fisicamente e segnalato all’agenzia.
La dimensione del tracciamento online, però, è quella su cui l’amministrazione Trump punta di più. In un primo momento, il budget a disposizione di ICE per assoldare contractor e aziende private era stato fissato a 180 milioni di dollari. In seguito, questo limite è stato cancellato. Chi fornisce strumenti e tecnologia all’agenzia per individuare i migranti da deportare può contare su un minimo di 7,5 milioni di dollari e può arrivare a incassare fino a più di 280 milioni di dollari.
La parte del leone, in questo giro di commesse, spetta a Palantir, società fondata da Peter Thiel, ex socio di Elon Musk ai tempi di PayPal e fondatore dell’azienda che si propone come un “sistema di automazione basato sull’intelligenza artificiale”. Quello che fa per ICE, nella pratica, è di incrociare i dati e consentire così di individuare i potenziali bersagli. Lo scorso luglio, Palantir si è aggiudicata un contratto da 170 milioni di dollari. A settembre è stato annunciato un ulteriore incarico per un valore di 30 milioni di dollari.
Gli algoritmi di Palantir, d’altra parte, sono lo strumento più efficace per sfruttare i dati aggregati grazie all’azione del DOGE. Collegando i dati del servizio sanitario, dell’agenzia delle entrate e della motorizzazione, l’Immigration and Customs Enforcement è in grado di colpire con la massima precisione. Le molteplici denunce da parte delle associazioni sui diritti civili e della stampa non sembrano scalfire più di tanto la linea Trump, che punta dritta verso un modello di società distopico in cui l’uomo solo al comando può infrangere qualsiasi legge. Anche grazie all’intelligenza artificiale.


