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La primavera calda del Terzo valico

Alla voce Terzo valico, quello tra Liguria e Piemonte, la spiegazione dei responsabili del progetto è schietta: si tratta di una nuova linea ad alta capacità veloce che consente di potenziare i collegamenti del sistema portuale ligure con le principali linee ferroviarie del Nord Italia e con il resto d’Europa. L’opera si inserisce – continua la spiegazione – nel Corridoio Reno-Alpi, che è uno dei corridoi della rete strategica transeuropea di trasporto.

Fin qui, direbbe qualcuno, tutto bene. Se non fosse che l’opera viene contestata da migliaia di cittadini, che condividono la battaglia dei No Tav, e attaccano il progetto dal punto di vista economico, ambientale ed etico, criticandone l’utilità e i costi alle stelle.

A questa lista di ragioni – e sarà su questa che ci concentriamo – si è aggiunto quello che da decenni si temeva: il pericolo che dagli scavi emergesse l’amianto. Ma torniamo brevemente al progetto. Del Terzo valico se ne parla dall’inizio degli anni Novanta. La linea ferroviaria alta velocità e alta capacità, quindi per passeggeri e merci, dovrebbe entrare in funzione dal 2020 e potenzierà i collegamenti del porto di Genova con Torino e Milano.

Secondo i sostenitori dell’opera, il Terzo valico aiuterà infatti il porto di Genova a diventare un hub di accesso al corridoio Genova-Rotterdam: le merci in arrivo dall’Asia preferiranno Genova al Mare del Nord perché i tempi di viaggio si accorceranno, dicono. Le attuali due linee che partono da Genova non sarebbero sufficienti.

Il nodo ferroviario che parte dal Terzo valico dei Giovi prevede un tracciato di 53 chilometri, 37 dei quali in galleria. I treni dopo chilometri di tunnel sbucheranno ad Arquata Scrivia, al di là degli Appennini, per proseguire sino a Tortona.

Ora, a cantieri aperti, alle paure sono arrivate le conferme. Il timore di trovare l’amianto è diventato concreto come nella frazione di Cravasco del comune di Campomorone, in provincia di Genova, dove il cantiere è stato bloccato proprio per il superamento del limite dell’amianto nel terreno. “Uno stop necessario per la messa in sicurezza”, hanno detto i responsabili della costruzione, “a cui seguirà lo smaltimento”.

Secondo le previsioni sui costi la grande opera del Terzo Valico avrebbe dovuto costare circa 117 milioni di euro al chilometro.

Ma questa è una cifra ormai lontana dalla realtà, considerando che l’Unione europea, ha aggiornato le procedure per lo smaltimento dei rifiuti di scavo, cercando di armonizzare la normativa italiana con quella comunitaria. Tra le novità principali, l’abbassamento da 1.000 a 100 millilitri su chilogrammo della soglia riguardante la presenza di fibre di amianto nella roccia, sopra la quale la terra di scavo dovrebbe essere considerata come rifiuto speciale e quindi da trattare come tale, stoccandola in siti attrezzati. I prezzi quindi sono pronti a lievitare. Potrebbero aumentare anche di 300 milioni di euro, cifra che andrebbe ad aggiungersi ai 6 miliardi e 200 milioni di spesa previsti dal progetto finale.

Queste solo le ricadute economiche a cui si aggiungono i ben più drammatici danni all’ambiente e sulla popolazione, in una regione già strutturalmente martoriata come la Liguria, espressione di “magnifiche sorti e progressive”.

 

“Effetti collaterali. Popolazione civile in pericolo” è la rubrica, a cura di Cristina Artoni, in onda ogni lunedì su Radio Popolare alle 9.20

Ascolta qui la puntata sul Terzo Valico

Terzo Valico

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    Cristina Artoni
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