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Conversazioni con un killer: il caso Ted Bundy

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La cifra supera la trentina, ma non è precisa perché sapere esattamente quante persone abbia ucciso Ted Bundy è impossibile: gli omicidi documentati, tra il 1974 e il 1978, sono tutti di giovani donne, spesso studentesse universitarie, scomparse senza lasciare traccia in diversi stati americani.

I dettagli dei delitti – che comprendono stupri, mutilazioni e necrofilia – sono solo una delle caratteristiche che hanno inserito la sua vicenda tra le horror story americane più terrificanti di sempre: nel processo cui fu sottoposto in Florida, tra il 1979 e il 1980, che peraltro fu il primo a essere trasmesso in tv, il serial killer decise di difendersi da sé, forte di alcuni studi legali intrapresi, ma soprattutto della convinzione di possedere uno charme irresistibile e l’abilità di cavarsi d’ogni impaccio con le parole.

Conversazioni con un killer: Il caso Bundy, docuserie true crime in quattro puntate pubblicata su Netflix a fine gennaio, sta facendo molto parlare di sé, perché pare aver riavvolto il tempo: «Non sembrerebbe affatto il tipo di persona che fa a pezzi qualcuno» ripetono nelle immagini di repertorio i testimoni dell’epoca, le molte ragazze che svilupparono un’ossessione per l’imputato, ma anche commentatori, avvocati e perfino il giudice (che risponde a una delle battute di Bundy con un quasi paterno «ci mancherai»). E quando il serial killer venne giustiziato, sulla sedia elettrica, nel 1989, le strade s’inondarono di folle giubilanti, mentre le fan del mostro piangevano lacrime disperate.

La storia si ripete, perché con la diffusione della serie (e del trailer di un film biografico in cui l’omicida è interpretato dall’ex divo del Disney Channel Zac Efron: entrambi i prodotti sono diretti dallo stesso regista, Joe Berlinger), in rete si è acceso il dibattito tra chi esprime apprezzamenti per il presunto fascino di Bundy e chi (tra cui la stessa Netflix) cerca di ricordare che si trattava di un sociopatico e brutale stupratore e assassino. Ed è vero che il documentario non è lucidissimo nel tracciare una linea netta: Bundy ha lasciato dietro di sé ore e ore di nastri registrati (di cui la serie fa largo uso), in cui racconta (spesso in terza persona, per non fornire confessioni dirette) la sua versione dei fatti, o – come nota il giornalista che lo sta registrando – i suoi appunti per «l’autobiografia di una celebrità».

È vero anche che il contesto attorno a Bundy è già quello di un circuito mediatico e di una cultura del successo che nella narrazione del caso incredibile, nella ricerca spasmodica dei perché dietro il male apparentemente inspiegabile, nel dissezionare un incubo terrificante, può permettersi di dimenticare serenamente le vittime, soprattutto se sono donne. Infine, come hanno notato diversi commentatori americani, c’è una questione etnica e di classe che rischia di non essere affrontata: quanto a lungo avrebbe potuto passare inosservato, Ted Bundy, nella sua “caccia alle prede”, se non fosse stato un ragazzo bianco, elegante e acculturato, sorriso rassicurante e occhi azzurri?

Ancora una volta, proprio in quella frase, «non sembrava il tipo», risiede un grumo denso e pericolosissimo di pregiudizi capace di renderci esposti e ciechi. Ecco perché è importante, davanti a tv e cinema (soprattutto se documentari, dove l’illusione di “autenticità” è parte del linguaggio e dello storytelling), stare attenti non solo a cosa ci viene raccontato, ma a come: perché nell’occhio di chi guarda vive il preconcetto, certo, ma anche il senso critico per smascherarlo.

Foto | Wikimedia

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Il 2 marzo il governo israeliano ordinava il blocco totale dell’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Oggi, esattamente due mesi dopo, il blocco è ancora in essere e da due mesi nella Striscia non entra niente: né cibo, né acqua, né medicinali, né carburante. La situazione peggiora giorno dopo giorno, le scorte sono ormai esaurite e la fame sta dilagando. In questo contesto di blocco totale, il più lungo che Gaza abbia mai sperimentato, dove morire di fame non è più solo un modo di dire, le ong e le organizzazioni umanitarie cercano di sopperire alle colpevoli mancanze dei governi. È in quest’ottica che la nave della Freedom Flotilla Coalition, si stava preparando a partire per Gaza carica di aiuti umanitari, con l’obiettivo di rompere l’assedio. Questa notte, però, la nave è stata colpita da due droni, che hanno fatto scoppiare un incendio e ne hanno ovviamente impedito la partenza. Abbiamo raggiunto a Malta Simone Zambrin, attivista di Freedom Flotilla, che si sarebbe dovuto imbarcare oggi per andare verso Gaza.

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    Il Comitato Sì Meazza presenta un esposto alla Corte dei conti contro il nuovo stadio

    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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