
Le conseguenze sul mondo produttivo si dovranno ancora vedere, e ci vorrà tempo. Ma a conti fatti, è difficile non vedere una capitolazione dell’Unione Europea nell’accordo tra Trump e Von Der Leyen.
Bruxelles non ottiene nulla in cambio. Gli USA incassano centinaia di miliardi tra armi, energia, investimenti. Prendere un pugno invece che due, come sembra essere la linea di difesa della Commissione, o di paesi come la Germania o l’Italia, sembra una magra consolazione. Ma è anche un dato di realismo rispetto a dei rapporti di forza che però la UE non ha neppure provato a mettere in discussione.
L’accordo, che partirà dal primo agosto, prevede un tetto massimo del 15% sui dazi che gli Stati Uniti applicheranno a gran parte delle merci provenienti dall’Unione Europea. Compresi settori chiave come semiconduttori, automobili, farmaceutica, chimica, macchinari, agroalimentare. Rimangono invariati i dazi su acciaio e alluminio, al 50%. Alcuni prodotti, come aeromobili e componenti, alcuni specifici prodotti chimici, farmaceutici, agricoli, saranno esenti, ma ancora non è chiaro quali e la trattativa qui è sostanzialmente aperta, come ad esempio sugli alcoolici, i vini in particolare. La UE dal canto suo, invece, non porrà alcun dazio aggiuntivo. Questa, però, era solo una parte di una trattativa fortemente politica, e lo si capisce bene dalle contropartite che l’Europa paga a Trump per non avere dazi ancora più alti. 750 miliardi in tre anni di acquisti in energia, acquisti di armi, anche se su questi due capitoli la UE non parla di cifre, e 600 miliardi di non meglio precisati investimenti. Bruxelles nega che si sia parlato delle tasse sulle Big Tech, ma gli Usa invece confermano che saranno eliminate.
È quello che porta a parlare di cedimento totale della UE agli USA. Per Trump è certamente una grossa vittoria: ottiene dall’Europa sostanzialmente tutto ciò che voleva. Compresi parecchi miliardi che potrà mettere a bilancio per ridurre quel debito, incrementato dagli ingenti tagli di tasse ai più ricchi della sua ultima manovra finanziaria. Che di fatto pagheremo noi. L’Unione Europea ha difeso l’accordo dalle critiche: il migliore possibile, hanno detto la presidente della commissione Von Der Leyen ed il commissario Sefcovic. Anche per la Germania “meglio una tempesta di uno tsunami”. Ma la Francia invece ha parlato di sottomissione a Trump.
Nel 2024, quasi la metà (49,5 per cento) delle esportazioni dell’Unione Europea verso gli Stati Uniti si è concentrata in cinque categorie, molte delle quali direttamente interessate dalla nuova misura: al primo posto ci sono i prodotti farmaceutici e medicinali (22,5 per cento), seguiti da veicoli stradali (9,6 per cento), macchinari industriali generici (6,4 per cento), apparecchiature elettriche (6,0 per cento) e macchinari specializzati (5,0 per cento), rileva lavoce.info. Il secondo tempo della partita si giocherà, quindi, sulle possibili esenzioni su specifici prodotti, che potranno favorire tanto il singolo Paese, quanto il singolo settore. Le imprese Italiane tutto sommato cercheranno di digerire l’impatto e dal Governo, per tenerle buone, arriveranno altri sussidi.
È difficile ad oggi quantificare un impatto dei dazi, Istat calcolava 23 mila imprese esposte nell’export verso gli USA, che vale il 10% del totale. Il tema è se di fronte all’aumento dei costi determinato dai dazi e dalla svalutazione del dollaro, gli USA diminuiranno le importazioni. Non è scontato. Non lo è per prodotti di alta gamma come l’agroalimentare, o alcuni macchinari, o alcuni farmaceutici. Per cui anche le reazioni delle associazioni di impresa e di categoria sono molto diverse. Definisce “assorbibile” la quota del 15% Confindustria, di fatto allineandosi alla linea del Governo da cui si aspettano ora soldi, vedremo quanti. I produttori di macchinari lo definiscono addirittura “accettabile”. Più preoccupate le reazioni da Confartigianato, dai chimici e soprattutto dal vitivinicolo. Italiano quanto francese.
Per i sindacati europei costerà posti di lavoro e salario, per la Fiom l’accordo va fermato soprattutto per l’impatto sull’automotive. C’è da dire che le imprese dell’auto tirano un sospiro di sollievo per aver evitato tariffe molto più elevate, e i titoli salgono in borsa, oggi nel complesso positiva per il quadro più stabile tracciato dall’accordo. Ma ci sono, poi, altri aspetti: se davvero le imprese europee sposteranno investimenti negli USA, che ricadute ci saranno? L’acquisto di armi americane contraddice poi il piano di riarmo europeo che insisteva sul finanziamento dell’industria bellica in Europa. E l’acquisto di energia dagli USA, a prezzi già elevati, non sarà indolore per le imprese, e impatterà anche sulla diversificazione delle fonti, in particolare rinnovabili, contenuta nel Green Deal che l’Europa sembra aver messo da parte. il prezzo economico e politico sembra essere davvero troppo alto.