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Sud Sudan. Stupri, torture e cannibalismo

Il governo di Juba e i ribelli protagonisti del conflitto armato che tiene in scacco il Sud Sudan da circa 22 mesi, hanno firmato un documento per l’attuazione delle norme di sicurezza previste dall’accordo di pace del 26 agosto.

Una piccola speranza che questa guerra finisca anche se di accordi come questo in quasi due anni ne sono stati disattesi almeno una decina.

In compenso un rapporto dell’Unione Africana che riprende una commissione di inchiesta guidata dall’ex presidente nigeriano Obasanjo denuncia una serie di violazioni che mostrano a che livelli di crudeltà e ferocia è arrivata questa guerra che, senza esagerare, potremmo definire dimenticata.

Nel rapporto sono contenute storie di stupri, torture, mutilazioni e addirittura di cannibalismo. Una vera e propria galleria degli orrori di cui soffre soprattutto la popolazione civile.

Non si tratta del solito documento basato su ipotesi e deduzioni. La commissione parla di prove concrete e testimonianze dirette e cita diversi casi con tanto di località, data e a volte con i nomi dei criminali.

Stando a queste testimonianze ci sono persone che sono state costrette a bere il sangue e a cibarsi della carne di alcune persone uccise da poco.

Le conclusioni sono che a Bor, Bentiu, Malakal sono stati commessi crimini di guerra, tanto che i territori adiacenti a queste città sono punteggiati da fosse comuni.

La guerra in Sud Sudan è cominciata nel dicembre del 2013 quando il presidente Salva Kiir ha accusato il suo ex vice presidente Riek Machar di stare per attuare un colpo di stato. Da allora la guerra non si è mai fermata, anzi con il passare dei mesi si è inasprita e, contemporaneamente, è scomparsa dai media.

Ad aggravere la situazione c’è il fatto che questo conflitto è ormai diventato un conflitto etnico tra i due principali gruppi del Sud Sudan, i Dinka del presidente Salva Kiir, e i Nuer di Riek Machar. Proprio per questo motivo la diplomazia rischia di essere quasi ininfluente su una guerra che si muove su logiche complesse e spesso insensibili alle proposte di compromesso e mediazione della comunità internazionale.

Ora la deriva che si profila da questa ultima indagine della commissione di Obasanjo fa temere che la guerra finisca totalmente fuori dal potenziale intervento della Comunità Internazionale.

  • Autore articolo
    Raffaele Masto
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    Gli accampamenti alla Columbia University contro i fondi per Israele in un documentario

    Kei Pritsker, regista con Michael T Workman del documentario “The Encampments”, racconta ai microfoni di Radio Popolare i retroscena della protesta studentesca pro Palestina alla Columbia University. “Gli studenti della Columbia protestano da anni per la Palestina e per ottenere che l’università dismetta gli investimenti in Israele – spiega Pritsker. L’università ha un ingente fondo di dotazione che investe in ogni sorta di attività, molte delle quali riguardano aziende produttrici di armi, aziende manifatturiere che realizzano armamenti, motori per elicotteri, bulldozer e ogni tipo di attrezzatura utilizzata in queste operazioni”. “The Encampments” fa parlare i ragazzi e le ragazze di questo movimento studentesco che dall’aprile del 2024 ha montato le tende nel giardino del Campus per chiedere trasparenza, il ritiro del denaro dagli investimenti israeliani e l’amnistia per gli studenti puniti per le proteste. “Chiunque creda ancora a questa narrativa sull’antisemitismo nel movimento per la Palestina dovrebbe semplicemente guardare il film – assicura Kei Pritsker”. Al momento “The Encampments” ha una distribuzione indipendente che lo diffonde nei cinema più coraggiosi. L'intervista di Barbara Sorrentini per la trasmissione Chassis.

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