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Stati Uniti. No di Harvard ai ricatti di Donald Trump

Harvard

Lo scontro, a lungo preparato, è alla fine scoppiato. Il rifiuto di Harvard University di sottostare alle richieste dell’amministrazione Trump, e il successivo congelamento da parte dell’amministrazione di 2 miliardi e 200 milioni di finanziamenti federali a Harvard, è del resto l’episodio finale di una storia che va avanti da anni. Da anni i conservatori americani identificano nelle università, in particolare nelle università più antiche e prestigiose, la culla del pensiero liberal più odiato, la fortezza da cui si diffondono i principi che, a giudizio dei conservatori, hanno guastato l’America e minato la sua grandezza. Per la destra americana, e da decenni, le università sono il nemico da combattere, distruggere, conquistare. L’amministrazione Trump mette quindi in pratica qualcosa che è da tempo in incubazione, in via di preparazione. L’occasione che però fa esplodere lo scontro è la guerra a Gaza, le accuse di antisemitismo che sono state mosse a chi ha protestato contro la guerra israeliana. E’ da lì che partono le accuse alle autorità universitarie per non aver fatto abbastanza per tutelare gli studenti di origine ebraica. Per non essersi mossi con sufficiente decisione contro il presunto diffondersi di un clima di aggressivo antisemitismo. Uno degli effetti di queste accuse lo vediamo proprio in queste settimane, con i raid, le espulsioni, gli arresti di studenti stranieri che hanno preso parte alle proteste. E, appunto, con la richiesta alle università di entrare nella gestione: di programmi, assunzioni, ammissioni degli studenti. C’è chi ha capitolato. Come, per esempio, Clumbia University, che per salvare 400 milioni di dollari di finanziamento federale – che peraltro non ha riavuto – ha acconsentito ad alcune richieste dell’amministrazione Trump, come per esempio avere una sorta di controllo su insegnamenti e docenti del dipartimento di studi mediorientali e africani. C’è invee chi, dopo parecchie oscillazioni e dubbi, ha deciso di opporre un netto rifiuto a Trump. Come, appunto, Harvard University, l’università più antica d’America, nata 140 anni prima degli Stati Uniti. L’università più rica d’America, con un budget di oltre 53 miliardi di dollari nel
2024. L’università che ha dato 8 presidenti agli Stati Uniti. Un numero elevatissimo di giudici della Corte Suprema. Che ha rappresentato per secoli il luogo dove si è formata la classe dirigente americana, dove è stato coltivato e nutrito il progetto della democrazia americana. Quello che l’amministrazione Trump ha chiesto a Harvard equivaleva a mettere Harvard in amministrazione controllata. Tra le altre cose: cambiamenti alla governance, entrata del governo nelle pratiche di assunzione; revisione di programmi e insegnamenti, ritiro del patrocinio dell’università a gruppi di studenti pro Palestina, rapporti trimestrali che mostrino come l’università si allinea alle richieste del governo. Se l’università avesse accettato il pacchetto proposto dall’amministrazione, Harvard, come istituzione di ricerca libera e indipendente, Harvard come cuore di un progetto democratico, non sarebbe esistita più. E quindi, Harvard ha detto no a Trump. E’ il rifiuto più clamoroso sinora opposto a questa amministrazione. E’ il rifiuto da cui potrebbero partire altri no della società civile, studi legali, aziende, altre università. E’ sicuramente l’episodio sinora più drammatico della battaglia ingaggiata dall’amministrazione Trump contro diritti, tutele, libertà della democrazia americana.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Più è alto il livello di inquinamento atmosferico, più aumenta il rischio di subire un arresto cardiaco. Uno studio del Politecnico di Milano rivela che in Lombardia c’è un legame tra i picchi di smog e la salute cardiovascolare. I ricercatori hanno analizzato oltre 37.000 casi registrati nel territorio lombardo tra il 2016 e il 2019, associandoli alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti. Il rischio cresce nei mesi caldi e si presenta anche quando i livelli delle polveri sottili sono inferiori ai limiti di legge. Lorenzo Gianquintieri è un ricercatore del Politecnico di Milano che ha partecipato allo studio.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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