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Stati Uniti, come cambieranno i rapporti con l’Europa con l’arrivo di Biden?

Biden - Stati Uniti Europa

Pier Virgilio Dastoli, presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo, commenta a Radio Popolare le nuove prospettive degli accordi tra Europa e Stati Uniti dopo l’elezione di Joe Biden. Quali cambiamenti dobbiamo aspettarci?

L’intervista di Lorenza Ghidini e Alessandro Braga a Prisma.

Dal punto di vista dei rapporti con l’Europa, che cosa significa multilateralismo oggi, dopo quattro anni di presidenza Trump, e quali sono secondo lei i piani di Joe Biden con gli Stati Uniti?

Biden quand’era candidato ha pubblicato un manifesto sulla politica estera in cui dichiarava le sue priorità, tra cui il rilancio del multilateralismo, la possibilità di un’alleanza fra Paesi all’interno delle organizzazioni internazionali, di grandi coalizioni e della possibilità di organizzare annualmente un grande summit sulla democrazia. Questo vuol dire alcune cose concrete: la prima è il ritorno degli Stati Uniti negli accordi di Parigi per la lotta al cambiamento climatico; la seconda è il ritorno degli Stati Uniti all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Queste sono due cose molto importanti perché sono due cose sulle quali c’è un forte impegno da parte dell’Unione europea e il ritorno degli Stati Uniti in queste due organizzazioni è molto importante per ricostruire un’alleanza tra Europa e USA, che si è in qualche modo demolita in questi quattro anni di presidenza Trump.

Da un lato la politica estera di Joe Biden è stata annunciata dallo stesso neopresidente degli Stati Uniti, dall’altra c’è l’Europa. Riuscirà ad interagire con la nuova amministrazione statunitense con una voce sola?

Se l’UE vuole avere un’equal partnership con gli Stati Uniti deve riorganizzarsi al suo interno, non può chiederla e poi parlare con 27 voci diversi, in maniera cacofonica. L’Unione Europea deve muoversi nei confronti di Biden in modo diverso rispetto a quello che ha fatto fino a qua. Alcune dichiarazioni vanno in questo senso, per esempio la discussione per quanto riguarda l’Organizzazione mondiale del commercio, quello che ha detto la Merkel per quanto riguarda i dazi. Certamente su alcune cose non avremo l’accordo con gli Stati Uniti: per esempio noi puntiamo a mettere delle tasse sulle grandi multinazionali del web. Su questo punto Joe Biden sarà abbastanza reticente dato che è stato sostenuto anche da tutte le industrie di Silicon Valley. Ci sono altre cose invece sulle quali è possibile raggiungere un accordo, anche nei rapporti con la Cina. Noi consideriamo la Cina un rivale sistemico ed è possibile trovare un’intesa con gli Stati Uniti per dialogare insieme e avere un approccio unitario, in qualche modo convergente, anche nei rapporti con la Cina.

Lei ha nominato la parola dazi. Dal punto di vista dell’imposizione delle tariffe di questa guerra scatenata da Trump contro la Cina e l’Europa, che previsioni fa?

Certamente l’Unione Europea deve dare dei segnali a Biden, sotto questo punto di vista. Su questa questione dei dazi l’UE deve comunicare con gli Stati Uniti, però in un quadro multilaterale. Bisogna riaprire il discorso dei dazi all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio, bisogna dire a Biden che se dev’essere conseguente il multilateralismo vuol dire agire all’interno dell’OMC per degli accordi multilaterali, non per degli accordi bilaterali. In questi anni l’OMC è stata fortemente indebolita, non ha più avuto un suo ruolo perché si è andati nella direzione degli accordi bilaterali. Questo è un tema presente attraverso anche accordi che l’UE ha fatto con alcune realtà: penso, per esempio, alla polemica giusta di Macron e degli accordi con il Canada, su questa questione bisogna essere coerenti e puntare sul multilateralismo, non sul bilateralismo.

Su che basi deve ripartire una nuova era di rapporti America – Unione Europea?

La scadenza del 4 luglio 2022 sembra lontana, però se noi vogliamo puntare a un accordo euro-americano l’UE deve mettere in qualche modo le sue carte in regola. Quando John Fitzgerald Kennedy pronunciò la Dichiarazione per l’interdipendenza propose certo un’interdipendenza fra gli Stati Uniti e la Comunità europea, che si avviava dopo i Trattati di Roma ad integrarsi, però disse anche che ci fosse la necessità di rafforzare l’unità politica europea. Per quella ragione, a mio avviso, varrebbe la pena rileggere quel discorso del 4 luglio 1962, soprattutto questo punto in cui la nuova frontiera di JFK puntava anche a un rapporto diverso con l’Europa. Questo vuol dire avere, per esempio, una politica estera unitaria e per esempio quindi decidere con un voto a maggioranza e non all’unanimità, rafforzare una dimensione comunitaria o federale rispetto a quella intergovernativa. Abbiamo un anno e mezzo di tempo, a mio avviso dovrebbe essere l’UE a proporre a Biden di organizzare nel luglio del 2022 questo grande summit, che tra l’altro potrebbe avere luogo alla fine della Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe partire all’inizio del prossimo anno. In questo quadro di politica estera l’UE dovrebbe riorganizzarsi e cambiare rotta. Un anno e mezzo non è molto, ma abbiamo il tempo di prepararci per proporre agli Stati Uniti una reale equal partnership di alleanze anche con altre realtà. Noi un po’ di timore lo abbiamo, per esempio, per quanto riguarda l’importanza che gli Stati Uniti potranno dare al rapporto con l’Africa. L’UE ha un forte interesse strategico nei confronti dell’Africa ed è quindi bene che anche gli Stati Uniti si impegnino in questo, visto che Obama aveva fatto varie promesse in merito non realizzate. Anche su questo terreno io credo che bisogna fare all’amministrazione americana delle proposte precise sapendo che Biden ha una grande esperienza in politica estera, cosa che non avevano gli altri presidenti.

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    Il 7 dicembre la Scala apre la stagione con l’opera censurata da Stalin

    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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