
Una manifestazione dall’impronta politica forte. Negli ultimi tempi raramente si sono visti striscioni come “Fermiamo il genocidio in Palestina”, “No all’economia di guerra”, “Il lavoro ripudia la guerra” attraversare il centro di Milano.
Lo hanno fatto con il corteo per lo sciopero generale dei sindacati di base. Secondo gli organizzatori erano in piazza circa 1500 persone: delegati, lavoratori, attivisti delle associazioni palestinesi di Milano e gruppi studenteschi. Tutti vedono chiaro il nesso che intreccia le guerre e i crimini di Israele contro il popolo palestinese agli stipendi fermi, al costo della vita sempre più alto e ai diritti che si restringono qui in Italia. Un filo che andrebbe spezzato, dicono, pur vedendo che le azioni e le parole della politica vanno invece nella direzione diametralmente opposta.
A dare voce e corpo allo slogan “Giù le armi – Su i salari” c’erano operai delle fabbriche dell’hinterland milanese e della Brianza, ricercatori e ricercatrici precarie delle università. Uno spezzone significativo era di lavoratori e lavoratrici della cultura: dipendenti e artigiani in appalto del Teatro alla Scala, librai e bibliotecari di quartiere. Oggi hanno manifestato dietro uno striscione che diceva “Books not bombs” (‘libri non bombe’). Qualcuno ha tenuto chiuso il proprio negozio per mandare un messaggio: “L’economia di guerra soffoca e toglie risorse. Adattarsi al massacro distrugge anche noi”.
All’arrivo in piazza della Scala, davanti all’ingresso del teatro, alcuni lavoratori scaligeri hanno srotolato un grande telo per dire: “Gridare Palestina libera non è un reato, nessuno deve essere licenziato”. Un richiamo al licenziamento, avvenuto poche settimane fa, della giovane maschera che durante un concerto a cui era presente anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva urlato “Palestina libera”. Un messaggio che durante il corteo è risuonato più volte.