A Genova è scoppiata la rabbia degli operai dell’ex Ilva, contro il rischio di chiusura che, secondo i sindacati, emerge dal piano presentato dal Governo. I metalmeccanici si sono mossi in corteo dallo stabilimento di Cornigliano, arrivati in prefettura hanno trovato il blocco della polizia che hanno cercato di forzare prima con i caschi da lavoro, poi con un muletto. In risposta c’è stato un lancio di lacrimogeni che ha ferito alla testa un operaio. Poi l’occupazione per alcune ore della stazione Brignole, prima di tornare al sito produttivo. Domani, quando è previsto un nuovo incontro col ministro Urso, sarà il quinto giorno di sciopero. “Ci siamo comportati come nel nostro spirito: bloccare dei lavoratori che chiedono di lavorare è vergognoso. Abbiamo fatto domande precise ma il governo parla d’altro, completamente scollegati dalla realtà” dice a Radio Popolare Armando Palumbo, delegato fiom dell’ex Ilva di Cornigliano. Il piano presentato dal Governo garantisce la continuità produttiva dello stabilimento di Taranto, a catena di tutta la filiera ex Ilva, fino a fine marzo. Poi, non si sa. In un vuoto totale di politica industriale che lascia irrisolto sia il problema del grave inquinamento di Taranto, sia dei posti di lavoro, sia del futuro dell’industria. Il piano corto del Governo su Ilva è di fatto la chiusura di Taranto ed a catena la fine di Cornigliano. Soprattutto, senza alcun tipo di intervento di bonifica e ripulitura della situazione drammatica della città pugliese. Il piano garantisce continuità produttiva fino a marzo, poi non si sa. Per stessa ammissione del Governo l’ex Ilva è disastrata al punto da chiedere danni per 5 miliardi alla sciagurata gestione Arcelor Mittal. Senza un investimento pubblico che lo sistemi, bonifica, pulisca, nessun privato certamente metterà piede in quell’impianto. E Taranto non può continuare a fare da città sacrificata ad una fabbrica che ne distrugge aria e salute. Così come i lavoratori non possono sopportare altri sacrifici: al contrario di quanto detto da Urso ieri, gli ammortizzatori sociali aumentano. Anche l’imprenditoria italiana non brilla: in un contesto di mercato dell’acciaio che non aiuta, a nessuno sembra importare di avere un ciclo completo di produzione nel paese. Si pensa così di comprare preridotto a basso costo altrove, già ne importiamo da Russia e Libia, dove per altro la produzione non è sostenibile ambientalmente, e lavorare quel poco che resta nelle acciaierie già elettrificate del nord, di fatto sacrificando l’ennesimo pezzo di industria nel sud. Il presidente di Federacciai Gozzi lo ha fatto capire apertamente all’ultima assemblea associativa. Il Governo, senza idee asseconda questa tendenza. Gli operai lo sanno bene, e per questo non credono alle promesse che dopo marzo Ilva sarà rilanciata. Di fronte alla mancanza di qualsiasi idea di politica industriale del Governo, da Taranto a Genova, è scoppiata la rabbia degli operai. Ma dovrebbe scoppiare anche quella di chi ha a cuore salute, ambiente, e la presenza in Italia di un’industria degna di questo nome, adeguata ai tempi ed alle esigenze ambientali e sociali.


