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Sale Rubio, scende Bush

E’ stato un dibattito duro, pieno di accuse e controaccuse, in cui si sono affrontati, per la prima volta in modo esplicito, i temi politici ed economici della campagna. Un dibattito in cui i candidati hanno rispolverato uno dei cavalli di battaglia della polemica repubblicana: l’accusa ai media “partigiani”, squilibrati a favore dei democratici. Un dibattito che ha visto, forse, l’emergere dei due candidati “veri” di queste primarie repubblicane, Marco Rubio e Ted Cruz, e il tramonto di chi, fino a qualche tempo fa, sembrava il favorito: Jeb Bush.

Il dibattito di Boulder, Colorado, è stato il terzo del calendario repubblicano. Organizzato da CNBC, ha subito preso un tono più serio, determinato, rispetto ai precedenti, focalizzati sulle diverse personalità dei candidati. I moderatori hanno messo alle strette i candidati sui loro piani per l’economia e le tasse. Donald Trump ha sostenuto di “poter aggiustare il debito di 19 trilioni di dollari del governo americano”. Ben Carson, il neurochirurgo che rifiuta l’etichetta di “politico” e che nelle ultime settimane è prepotentemente cresciuto nei sondaggi, ha spiegato il suo piano per le tasse, ispirato al dettato della Bibbia. “Voglio un’imposta fissa del 15% che sarà sufficiente a ridurre il deficit”, ha detto Carson.

Le domande dirette e incalzanti dei giornalisti alla fine hanno infastidito i candidati. “Dovreste vergognarvi di voi stessi”, ha esclamato Jeb Bush. “”Volete una risposta, o volete che io vi risponda – ha sbottato Chris Christie, aggiungendo che “quello che state facendo è considerato maleducato persino in New Jersey”, il suo Stato. Marco Rubio, infine, ha attaccato “il solito pregiudizio dei media a favore dei democratici. Riescono a far passare per buona la settimana in cui Hillary Clinton è stata smascherata come una bugiarda”.

La serata è stata anche segnata dall’incrinarsi di vecchie amicizie e solidarietà politiche. E’ avvenuto quando i moderatori di CNBC hanno tirato fuori un editoriale del Sun Sentinel, giornale della Florida, in cui Marco Rubio veniva criticato per aver mancato voti decisivi al Senato. “Marco, questo è il tuo lavoro, e dovresti presentarti a lavorare – ha esclamato Jeb Bush -. Co’sè, la tua, una settimana lavorativa alla francese? Lavori solo tre giorni a settimana?” Rubio, che è stato un vicino a Jeb Bush, quando quest’ultimo era governatore della Florida, ha risposto: “Jeb, qualcuno ti deve aver convinto che attaccare me ti darà dei benefici. Non è così”.

Proprio Marco Rubio è apparso come il candidato più a suo agio, capace di trasmettere un’impressione di moderazione, di pacatezza, in uno scontro che sinora si ò dimostrato caotico, dominato dall’emergere di pulsioni fortemente populistiche, tipiche dell’anti-politica e del rifiuto del più tradizionale establishment repubblicano da parte di alcuni candidati, sinora in testa nei sondaggi. Questa linea è stata sinora rappresentata soprattutto da due candidati, Donald Trump e Ben Carson, che infatti sono stati quelli più incalzati, e messi alle strette, durante il dibattito.

Trump si è lasciato andare alle consuete tirate ad effetto, come quando ha affermato di “portare spesso con sé un’arma”. Ma in alcuni momenti è parso perdere il controllo della situazione, ed è apparso sulla difensiva, come quando ha negato di aver mai detto che “Marco Rubio è il senatore personale del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg”. Becky Quick, una delle moderatrici del dibattito, gli ha allora spiegato di aver trovato l’affermazione sul suo “programma per l’immigrazione”.

Anche Ben Carson è stato messo alle strette, sulla questione del suo progetto di imposta ispirato alla Bibbia e sulle sue opinioni riguarda al matrimonio gay. I giornalisti di CNBC gli hanno chiesto come può dirsi contrario alle nozze omosessuali e poi essere nel consiglio di amministrazione di Costco, una società che riconosce i benefici sociali alle coppie dello stesso sesso. “Non c’è alcuna contraddizione – ha risposto Carson, in evidente difficoltà-. Ritengo che il matrimonio debba restare un’istituzione limitata a un uomo e a una donna, ma al tempo stesso ritengo che la nostra Costituzione tuteli tutti”.

Il vero deluso della serata appare però Jeb Bush. Il politico che sino a qualche tempo fa veniva indicato come il “candidato naturale” dei repubblicani, quello con la macchina organizzativa e la forza finanziaria necessarie per vincere le primarie, è apparso spento, poco incisivo. Quello di ieri doveva essere il momento decisivo, per Bush, il lancio definitivo della sua candidatura. Non è stato così. Il suo team, dopo la deludente performance, ha cercato di aggiustare le cose, soprattutto ha cercato di contrastare l’impressione che Marco Rubio sia il vincitore del dibattito. “Rubio continua a non avere alcuna esperienza, nessuna realizzazione concreta”, hanno scritto i collaboratori di Bush. Il tentativo non ha cancellato l’impressione di debolezza politica dell’ex-governatore della Florida, che appare destinato a un probabile tramonto politico.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Il trumpismo fa paura. L'autoritarismo trumpista ancora di più. A Pubblica la prima sintesi degli incontri alla Casa della Cultura di Milano per il ciclo "Autoritarismi in democrazia" (Osservatorio autoritarismo, Università Statale Milano, Libertà e Giustizia, Castelvecchi) di cui Radio Popolare è media partner (qui il programma https://www.libertaegiustizia.it/2025/11/21/autoritarismi-in-democrazia/). Ospite del primo incontro (22 novembre 2025) la filosofa Chiara Bottici, della New School for Social Research di New York. «Il clima negli Stati Uniti – ha raccontato la filosofa - è estremamente allarmante, estremamente preoccupante. Quando parlo di neofascismo non è un'esagerazione, non è un modo per dire "questi sono cattivi, Trump è autoritario"».

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