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La fuga dei civili da Rafha, il premierato arriva in Senato e le altre notizie della giornata

Rafah ANSA

Il racconto della giornata di mercoledì 8 maggio 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Israele sta intensificando i bombardamenti su Rafha e secondo l’ONU circa 200 persone stanno lasciando Rafha ogni ora a seguito dell’ordine di evacuazione israeliano. Con un decreto del ministero degli Esteri il governo italiano ha ampliato la lista dei paesi extraeuropei considerati sicuri. In Liguria anche ambienti vicini a Toti iniziano a fare trapelare che la fine della sua presidenza è vicina. È ufficialmente iniziata nell’Aula di Palazzo Madama la battaglia sul premierato elettivo, bandiera di Fratelli d’Italia. L’Unione Europea contro il nuovo assegno di inclusione, la misura che ha parzialmente sostituito il reddito di cittadinanza. Secondo l’ispettorato del lavoro nell’ultimo triennio l’80% delle aziende controllate viola le norme di sicurezza.

Migliaia di persone in fuga da Rafha mentre i negoziati sono in stallo

Israele sta intensificando i bombardamenti su Rafha. Oggi l’artiglieria israeliana ha colpito diversi edifici residenziali nella zona centrale e orientale della città provocando una serie di incendi. Secondo l’Onu circa 200 persone stanno lasciando Rafha ogni ora a seguito dell’ordine di evacuazione israeliano. “Uno dei tre ospedali di Rafah, Al-Najjar, non funziona più a causa delle ostilità in corso e gli altri due rischiano di chiudere tra 3 giorni se non arriverà il carburante”. È l’allarme lanciato dal direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Ghebreyesus, che ha anche confermato che gli aiuti umanitari, compreso il carburante, attesi per oggi non sono arrivati. Questa mattina Israele aveva annunciato l’apertura del valico di Kerem Shalom che sarebbe stato chiuso poche ore dopo, nel pomeriggio, insieme al valico di Eretz. Lo ha riferito l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi. Flavia Pugliese, direttrice regionale dell’Ong WeWorld in Medio Oriente:

Intanto al Cairo sono in stallo le trattative per una tregua. Lo riferisce Hareetz che cita una fonte israeliana secondo cui Hamas sarebbe pronta a lasciare l’Egitto perché Netanyahu è tornato al punto di partenza. Al momento su questa notizia non ci sono però conferme ufficiali. Mentre il segretario americano alla Difesa Lloyd Austin ha confermato che gli Stati Uniti stanno rivalutando il trasferimento di armi a Israele per le preoccupazioni legate all’operazione militare a Rafha. Roberto Festa:


 

La fine della presidenza di Toti è vicina

In Liguria anche ambienti vicini a Toti iniziano a fare trapelare che la fine della sua presidenza è vicina. Oggi il suo avvocato ha detto che smonteranno ogni accusa, che le forme hanno generato equivoci e non illeciti, e che tutto si chiarirà. Ma Toti può solo provare a resistere un po’, dal punto di vista politico. Fratelli d’Italia spinge per il voto anticipato, e gli altri dovranno adeguarsi.

Da Roma è continuata la difesa politica del presidente ligure. Il coordinatore di Forza Italia Tajani ha afferamato che i tempi dell’inchiesta sarebbero sospetti. “Si poteva intervenire due giorni fa o dopo le elezioni” ha detto. Dando sponda al ministro della Giustizia Nordio che ieri, con un atto inusitato, si è espresso sull’indagine e ha criticato la Procura di Genova. In gioco c’è sono la campagna elettorale dove ciascuno deve sventolare la propria bandiera. Quella di Forza Italia è la riforma della giustizia. Cosa c’è di meglio che attaccare i magistrati di Genova. Ha difeso Toti, il suo resistere prima di dimettersi, anche Salvini. Salvini è ministro dei trasporti e delle infrastrutture, protagonista a Genova del piu grande e importante appalto della città: la nuova diga del porto commerciale. Appalto da un miliardo e 300 milioni di Euro, affidato con autorizzazione diretta, senza gara, a We Build.

Il piano di Meloni per non far arrivare i migranti in Italia

Con un decreto del ministero degli Esteri il governo italiano ha ampliato la lista dei paesi extraeuropei considerati sicuri. Sono 6 quelli aggiunti alla lista. Tra questi ci sono anche il Bangladesh e l’Egitto, da cui ogni anno arrivano in Italia migliaia di richiedenti asilo. Per loro sarà ora più difficile fare richiesta di protezione.

(di Mattia Guastafierro)

Il decreto pubblicato oggi è solo l’ultimo tassello di un disegno più ampio che Giorgia Meloni porta avanti da mesi: non far arrivare i migranti o, al massimo, tenerli in Italia il più breve tempo possibile. Ampliare la lista dei paesi sicuri risponde proprio a quest’ultima esigenza. Per chi è originario del Bangladesh o dell’Egitto sarà ora più arduo fare richiesta di protezione internazionale. Innanzitutto, perché scatta una sorta di inversione dell’onere della prova. Per ottenere l’asilo dovrà infatti essere il migrante a dimostrare di essere minacciato in patria, perché ad esempio è omosessuale o un perseguitato politico. Un dovere che nella procedura ordinaria spetta invece, in collaborazione, alla commissione giudicante. Arrivare da un paese “sicuro” significa poi essere sottoposti a una procedura meno accurata, tempi più stretti per l’audizione e la decisione della commissione (al massimo 9 giorni) e per l’eventuale ricorso (15 giorni). Tradotto: più probabilità di essere rimpatriati e, nell’attesa, il trattenimento nei centri di detenzione, come quelli in Albania, che saranno costruiti proprio a questo scopo.
La definizione di un paese sicuro non è obbligatoria – la Spagna ad esempio non ha alcuna lista-, risponde a valutazioni politiche. Quella di Meloni passa dagli accordi con i paesi nordafricani. Dopo la Tunisia, lo scorso marzo Italia e Unione europea hanno firmato un patto con il presidente egiziano Al Sisi, al potere dopo un golpe militare nel 2013. 7,4 miliardi di prestiti e sussidi, di cui 200 milioni per fermare le partenze. Con buona pace di Regeni e degli appelli di decine di ong che da anni denunciano le violazioni dei diritti umani e politici al Cairo.

Al via il dibattito al Senato sul premierato

(di Anna Bredice)

Se Giorgia Meloni ha intenzione, come appare molto evidente già da queste ore, di utilizzare il premierato per la campagna elettorale per le europee, il Partito Democratico cercherà in tutti i modi di contraddirla, portando il tema “Costituzione violata” anche alle europee. Un paese, l’Italia, dove la destra al governo cerca a maggioranza di scardinare il principio della separazione dei poteri. Oggi c’è stato il primo voto sul premierato. Le pregiudiziali di costituzionalità sono state bocciate nonostante appaia evidente il vulnus ai poteri del Capo dello Stato. Nelle stesse ore Elly Schlein ha convocato una assemblea dei parlamentari del Pd per chiedere una mobilitazione contro la riforma, in particolare il 2 giugno, il giorno della festa della Repubblica, quando verrà organizzata una manifestazione contro il premierato e l’autonomia differenziata. Per ora dai Cinque Stelle non c’è stata nessuna risposta a questa proposta. Si vedrà se potrà essere unitaria, una battaglia insieme sia dentro al Parlamento che fuori nelle piazze, ma si sconta il fatto che ogni partito si presenta da solo alle elezioni di giugno. Nel pomeriggio è cominciata la discussione generale, più di 80 i senatori iscritti a parlare, tra cui anche Liliana Segre. È difficile che ci possa essere un primo via libera al premierato già in queste settimane, non ci sarebbe il tempo. Gli emendamenti dell’opposizione, circa 3.000, rallenteranno i lavori e poi c’è un confronto-scontro tra Meloni e Salvini: alla Camera dei Deputati c’è il disegno di legge sull’autonomia, che avrà quasi certamente il voto definitivo dopo le europee, il premierato probabilmente anche. Se i tempi saranno questi, Meloni e Salvini useranno i due temi bandiera per la campagna elettorale, dicendo che sono entrambi in dirittura d’arrivo, rinviando però modifiche al premierato e all’autonomia a dopo, con i risultati elettorali certi e con probabili nuovi equilibri nel governo.

Un intero sistema produttivo basato sul rischio della vita di chi lavora

(di Massimo Alberti)

Un intero sistema produttivo che si basa sul rischio della vita di chi lavora: secondo l’ispettorato del lavoro nell’ultimo triennio l’80% delle aziende controllate viola le norme di sicurezza. Il 93% in edilizia. I controlli sono una goccia nel mare: 20.000 su 1 milione e 700 mila imprese.
I dati diffusi dal direttore dell’ispettorato nazionale del lavoro Paolo Pennesi sono sconvolgenti. “Siamo sostanzialmente, nel 2022-23-24, in una media ben sopra l’80% delle aziende che presentano violazioni prevenzionistiche, e in alcuni casi, anche indotte da fenomeni come il superbonus, in edilizia arriviamo a percentuali del 93%”.
Pennesi le definisce “abbastanza preoccupanti”. Ma di fatto si sta certificando che l’intero sistema produttivo si regge sul rischio di uccidere chi lavora. E in sostanza è totalmente illegale. Lavorare vuol dire sostanzialmente avere una pistola puntata in faccia, che devi solo sperare non spari. È il risultato di politiche fondate sulla centralità dell’impresa e della tutela del margine di profitto, prima che di chi lavora.
L’ispettorato dichiara circa 20mila controlli l’anno, che potrebbero arrivare a 40mila con le assunzioni previste di 1.500 nuovi ispettori. Ma calcolando circa 1.700.000 mila imprese, vuol dire che per avere 1 controllo all’anno per ogni impresa, servirebbero alcune decine di migliaia di ispettori. Pura utopia. È evidente che la soluzione non possa stare lì così come la patente a punti per le imprese, sbandierata dal governo, sia sostanzialmente inutile a fronte di un’illegalità tanto diffusa. Di fatto eliminare il rischio della vita sul lavoro significherebbe far crollare il sistema economico, ed il problema è aver permesso di arrivare fin qui. La totale assenza di reazioni ad un dato di questa portata, viste le sue implicazioni, è la dimostrazione concreta che, passata l’emozione per la periodica strage a nessuno interessi davvero mettere in discussione la struttura produttiva che lo provoca. Che al 7 maggio 2024, ha ucciso 520 persone, secondo i dati dell’osservatorio nazionale di Bologna. Più 10% circa sull’anno scorso.

L’assegno di inclusione aumenta la povertà secondo l’UE

(di Massimo Alberti)

L’Unione Europea contro il nuovo assegno di inclusione, la misura che ha parzialmente sostituito il reddito di cittadinanza. “Aumenta la povertà” è quanto si legge nell’analisi della commissione. I primi risultati, in negativo, erano già stati evidenziati dai dati iIstat sulla povertà. “Si prevede che l’assegno di inclusione determinerà una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile (rispettivamente di 0,8 punti percentuali e 0,5 punti percentuali) rispetto al regime precedente”. Così nell’analisi della Commissione Europea sulla misura con cui il governo Meloni ha parzialmente sostituito il reddito di cittadinanza alzando i paletti di accesso al sussidio. Se il Reddito riguardava tutti i nuclei in condizione di bisogno certificata, l’assegno oltre ad abbassare i requisiti economici selezionava sulla base della condizione familiare con la presenza almeno di n minorenne, o con disabilità, o over 60 o inserito in programmi di assistenza dei servizi territoriali. Per gli altri, per un anno, solo i 350 euro di supporto formazione lavoro, ma solo se partecipano a corsi di formazione che in molti casi non sono neppure mai partiti.
Il risultato è che quasi metà dei beneficiari ne è rimasta scoperta. Il dato del resto è già evidenziato dall’istat negli ultimi rapporti sulla povertà: se il reddito di cittadinanza aveva contribuito a far uscire dalla povertà assoluta circa un milione di persone, la nuova misura non solo ha fatto crescere l’indice di Gini aumentando quindi la disuguaglianza, e rendendo circa un milione di persone più povere e vulnerabili. Un dato confermato martedì nel rapporto su condizioni di vita e reddito delle famiglie, in cui sale dal 4,5 al 4,7% il numero di persone che si trova in “grave deprivazione materiale e sociale“: sono 2,8 milioni di persone, concentrate al centro sud. E le stime, così come appunto quella della commissione Europea, vanno nella direzione di un’ulteriore crescita della povertà nel 2024, l’anno in cui terminano definitivamente reddito di cittadinanza e supporto formazione. Sta già accadendo.

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