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Il decreto per l’emergenza in Emilia-Romagna, la scelta di Meloni per la commissione Antimafia e le altre notizie della giornata

Meloni Bonaccini ANSA

Il racconto della giornata di martedì 23 maggio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. In Emilia-Romagna la situazione sta lentamente migliorando e oggi il governo ha approvato il primo decreto per l’emergenza. Intanto Giorgia Meloni ha voluto l’ultima parola sulla fedelissima Chiara Colosimo alla guida della Commissione parlamentare Antimafia. La strategia della maggioranza di destra è chiara: nessun commento sui ripetuti richiami del Presidente della Repubblica. Al Consiglio difesa dell’Unione Europea il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha chiesto di incrementare la cooperazione per la produzione di armi e munizioni.

Il decreto per l’emergenza in Emilia-Romagna

In Emilia-Romagna la situazione sta lentamente migliorando. Si continua a lavorare senza sosta per ripulire le città dal fango. Potrebbe tenersi già domani l’informativa al Senato del Ministro per la protezione civile Musumeci, mentre giovedì nelle aree alluvionate arriverà in visita la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen.

Oggi intanto il governo ha approvato il primo decreto per l’emergenza: 
prevede, tra le altre cose, la sospensione di tasse e mutui fino a fine agosto, la cassa integrazione in deroga per 3 mesi, una tantum fino a 3mila euro per gli autonomi.
Il testo stanzia 175 milioni per le imprese agricole, 10 milioni per il turismo, 8 alle strutture sanitarie, 20 alle scuole, 5 al turismo, 200 al fondo per le emergenze. 
Presentando il decreto, Giorgia Meloni ha detto che il valore delle misure approvate è superiore ai 2 miliardi. 
Al Consiglio dei Ministri, assieme al presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, hanno partecipato anche i rappresentanti di diverse categorie, dalle imprese, ai sindacati. 
Nella regione resta l’allerta rossa e arancione soprattutto per possibili frane. Da domani sono previste nuove piogge.

Meloni sceglie Chiara Colosimo per la commissione Antimafia

(di Anna Bredice)

“Il primo pensiero va a Falcone”, dice la neo-presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Chiara Colosimo. Dopo otto mesi di vuoto, l’elezione avviene proprio il giorno dell’anniversario della strage di Capaci, con tutte le associazioni antimafia e antiterrorismo che hanno chiesto fino all’ultimo che non fosse lei a guidarla. Ma Giorgia Meloni, come è accaduto con altre nomine, ha voluto l’ultima parola e nonostante dentro a Fratelli d’Italia qualcuno chiedesse alti nomi, lei ha sostenuto la sua fedelissima consigliera regionale nel Lazio e l’ha fatta eleggere. In una fotografia c’è la causa di tanto contrasto: una foto che vede lei al fianco di Luigi Ciavardini, ex Nar condannato a 30 anni per la strage di Bologna. Lei spiega che stava incontrando una associazione che si occupa di ex detenuti e lui ne faceva parte. Ma questo non cancella i dubbi, le ombre restano, rimane la netta opposizione soprattutto delle associazioni. Per Don Ciotti di Libera la sua figura presenta “ambiguità che possono minare la credibilità di cui deve godere”. L’opposizione ha deciso di non votare e uscire dall’aula al momento dell’elezione di Colosimo, poi Pd, Cinque Stelle, Verdi e Sinistra italiana sono rientrati per votare i propri membri, Cafiero del Raho alla vicepresidenza e un esponente del Pd alla segreteria della commissione, con il terzo polo che grida ora all’inciucio. Andrea Orlando ha spiegato che avere come vicepresidente De Raho è un modo per “fare marcatura a Colosimo”. Controllarla in pratica, ma la sostanza rimane che la grande maggioranza dei componenti, tutti i partiti di destra, sono andati avanti per la loro strada, e continueranno ad avere la maggioranza quando si tratterà di fare audizioni o indagini su fatti di mafia e di terrorismo, senza guardare in faccia a nessuno come è accaduto anche su altri temi, a cominciare dalla vicenda Cospito.

Il silenzio della destra dopo i richiami di Mattarella

(di Michele Migone)

Il ministro Lollobrigida ha fatto finta di nulla. In un’intervista ha negato che i moniti contenuti nel discorso di Sergio Mattarella su Alessandro Manzoni fossero indirizzati a lui e al governo di cui fa parte. Negare tutto, soprattutto l’evidenza. Evitare ogni risposta, ogni possibile polemica con il Quirinale. La strategia della maggioranza di destra è ormai questa. Il silenzio, nessun commento sui richiami del Presidente della Repubblica. Eppure è ormai molta chiara la dinamica che si è instaurata. La destra tenta di picconare la Costituzione e Sergio Mattarella è lì a difenderla a spada tratta, senza retrocedere di un millimetro, baluardo – il più grosso ostacolo, visto dall’altra parte – contro la famelica voglia – soprattutto di Fratelli d’Italia – di riscrivere la storia, di dare la stura a una stagione politica all’insegna dell’intolleranza, colma dell’autoritarismo di cui trasudano le uscite pubbliche di molti esponenti della maggioranza di destra. In questa situazione, il Quirinale è l’argine. La Russa parla di via Rasella e Mattarella gli risponde da Auschwitz; poi afferma che la Costituzione non è antifascista e Mattarella va Boves a rimettere la storia della Carta nella giusta prospettiva. Poi il caso Lollobrigida e la sua tesi della sostituzione etnica. A ogni azione, Mattarella risponde con una reazione. Lo fa perché ha capito quale è l’obiettivo della destra: modificare il DNA della Repubblica. Con la sua autorità morale e con il consenso che raccoglie tra gli italiani, Mattarella è la diga che i partiti dell’opposizione, divisi, in difficoltà, non sempre attenti, non riescono ad essere. Una diga che la destra vorrebbe tanto abbattere. E l’accelerazione sulla riforma istituzionale, in fondo, è anche un modo per tentare di indebolire il Quirinale di Mattarella.

La Nato chiede all’UE di aumentare la produzione di armi

Un civile è rimasto ucciso nell’incursione dal territorio ucraino nella regione russa di Belgorod, mentre altre 13 persone sarebbero state ferite. È il bilancio fatto dal governatore della regione dopo l’attacco compiuto da quelli che Kiev definisce partigiani russi, mentre per mosca sono nazionalisti ucraini. Le autorità russe hanno revocato nel pomeriggio il regime speciale anti-terrorismo nella regione, dicendo di aver respinto e sconfitto i “sabotatori”.
Il presidente russo Putin ha detto che questi sono giorni complicati per la Russia, ma che non è stata Mosca ad iniziare questa guerra. Intanto la Corte Suprema russa ha prolungato di altri tre mesi la detenzione del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich e condannato a 14 anni di carcere un attivista per i diritti umani.

Si è concluso oggi il Consiglio difesa dell’Unione Europea. La Polonia ha annunciato che gli addestramenti dei piloti ucraini per gli F16 non sono ancora iniziati, ma che è tutto pronto per l’avvio. Al Consiglio era presente anche il segretario della Nato Jens Stoltenberg che ha chiesto all’Unione Europea di incrementare la cooperazione per la produzione di armi e munizioni, seguendo lo standard dettato della Nato. Sentiamo Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento Europeo e docente di diritto internazionale:


 

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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