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Il governo in panne se la prende con migranti e ambientalisti, il fallimento del Terzo Polo e le altre notizie della giornata

Carlo Calenda (s) e Matteo Renzi al teatro Eliseo durante evento organizzato da Azione sul sistema sanitario nazionale, Roma, 9 Marzo 2023. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Il racconto della giornata di martedì 11 aprile 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Lo stato di emergenza sull’immigrazione varato oggi dal governo servirà a costruire nuovi centri di espulsione senza gare d’appalto. Nel Consiglio dei ministri di oggi è stato deciso di punire con sanzioni più pesanti gli attivisti per il clima che imbrattano i monumenti. Il documento di programmazione economica approvato oggi indica il delicato momento dell’economia italiana e la scarsa incidenza del PNRR sulla ripresa. Lo scontro tra Matteo Renzi e Carlo Calenda ha fatto implodere il Terzo Polo. A Bakhmut gli ucraini stanno cercando di difendere i quartieri occidentali della città.

Il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza sull’immigrazione

(di Michele Migone)
Il governo ha deciso di dichiarare lo stato d’emergenza per l’immigrazione. Una decisione che era nell’aria e che arriva dopo mesi in cui l’esecutivo ha affrontato la questione solo come se fosse una questione di ordine pubblico e non altro. Nella riunione di oggi è stato dato il via libera anche al disegno di legge che prevede pene pecuniarie per coloro che imbrattano opere d’arte. Un provvedimento voluto dal ministro della cultura Sangiuliano e che segue la scia di quelli proposti in parlamento prima dalla Lega e poi da Fratelli d’Italia. Approvato anche il documento di programmazione economica, una fotografia delle difficoltà della ripresa della nostra economia nonostante il PNRR. Tra questi tre provvedimenti c’è un collegamento. Il servizio di Michele Migone.

 

Lo stato d’emergenza sull’immigrazione durerà sei mesi. Cosa significa? Quali saranno gli effetti concreti? Sentiamo Gianfranco Schiavone, esperto giuridico dell’associazione ASGI.

 

Il delicato momento dell’economia italiana

(di Massimo Alberti)
Per chi ci guarda da fuori, nello specifico il fondo monetario, in un quadro di crescita mondiale che rallenta (anche a causa delle restrizioni monetarie, e qui si torna allo sconsiderato aumento shock dei tassi) il PIL dell’Italia crescerà quest’anno dello 0,7%, dello 0,8 nel 2024, mettendoci in coda ai paesi del G7. Questo al netto di tutte le incognite che restano aperte sui fronti dell’energia, e naturalmente della guerra. Da vedere poi cosa accadrà al PNRR, mercoledì il governo varerà l’apposito decreto, che fin qui ha avuto impatto sulla crescita praticamente a 0. Se dunque il quadro che il governo ipotizza è migliore rispetto a novembre, uno dei temi sarà il debito, su cui si stringe, anche perché a breve tornerà il patto di stabilità europeo, e con lui l’ombra dell’austerità sulle possibilità di spesa. Non che il governo Meloni disdegni la stretta: la revisione al rialzo rispetto all’autunno del rapporto deficit/PIL, indica che il governo vuol si tenersi un margine, circa 3 miliardi, per le scelte economiche da mettere nella prossima manovra, ma la ristrettezza di quel margine dice anche che per finanziare le queste scelte, a partire da riforma fiscale e flat tax, o mantenere le promesse sulle pensioni, o gli aiuti che ancora saranno necessari, o quelli che si intendono erogare alle imprese, senza sforare i margini europei, il governo dovrà fare forti tagli di spesa pubblica, come del resto ha già iniziato a fare a partire proprio dal sociale, visto che la logica aziendalista di Giorgetti è “tante uscite, tante entrate o risparmi”. In un quadro di numeri, dunque, il tema sarà ancora solo politico: chi favoriranno le uscite, chi penalizzeranno i tagli. Fino ad ora il governo Meloni ha mostrato di avere una visione ideologica piuttosto precisa: sostegno alle fasce più alte, ben rappresentate nel suo elettorato di riferimento, sperando che qualche briciola cada poi a chi sta sotto.

Lo chiamavano Terzo Polo

(di Luigi Ambrosio)
Ne stanno facendo una questione di soldi. Per la precisione di quote non pagate.
I calendiani accusano i renziani di non avere versato quanto pattuito per le campagne elettorali. I renziani rispondono col tesoriere di Italia Viva, Bonifazi che dice:
“abbiamo messo un milione e 200mila euro”.
Poi c’è il problema del 2×1000. Secondo alcuni calendiani, Renzi non vorrebbe sciogliere Italia Viva per non rinunciare ai finanziamenti pubblici. Sempre Bonifazi replica:
“le quote del 2×1000 finiranno al nuovo partito, quando nascerà”.

Certo che spaccarsi per i soldi proprio adesso è paradossale. Ma come: Berlusconi ha finito la sua carriera politica e i suoi voti sono sul mercato elettorale; Elly Schlein ha spostato di netto a sinistra il Pd facendo venire gli incubi ai dirigenti riformisti e agli elettori moderati del Partito Democratico. E Renzi e Calenda che fanno, si mandano a quel paese?
I soldi contano ma più che i soldi il punto è che i due non hanno mai smesso di farsi la guerra.
Uno è andato a fare il direttore di un giornale un po’ per tenersi le mani libere un po’ per darsi una nuova visibilità anche a scapito dell’altro. L’altro si lascia tentare dalla ipotesi di correre da solo alle europee, dove c’è il proporzionale.

Meloni, da lontano, distrattamente li osserva. E tra Renzi e Calenda i voti moderati in libera uscita alla fine potrebbe prenderseli lei.

L’esercito russo avanza verso il centro di Bakhmut

(di Emanuele Valenti)
A Bakhmut gli ucraini stanno cercando di difendere i quartieri occidentali della città, ma soprattutto stanno provando a infliggere ancora il maggior numero possibile di perdite al nemico prima di un probabile ritiro quando la situazione non sarà più sostenibile.
Nei giorni scorsi lo aveva ammesso lo stesso Zelensky.
L’avanzata russa, seppur lenta, è stata confermata nelle scorse ore anche dai servizi occidentali.
Il capo dei Wagner, Prigozhin, ha detto che i suoi uomini controllano ormai l’80% del centro urbano. Il capo dell’amministrazione filo-russa di Donetsk, Pushilin, aveva parlato poco prima del 75%.
Ufficialmente gli ucraini negano, ma sembra difficile che a un certo punto possano cambiare il corso della battaglia.

Ma appunto, si tratta di una battaglia.
La vera domanda rimane quando gli ucraini saranno in grado di lanciare la loro contro-offensiva e con quali effetti.
Il momento non sarebbe ancora arrivato.
Le autorità locali in Crimea hanno annunciato questa sera di essere comunque pronte a respingere un eventuale attacco da parte di Kyiv.
Il ministro della difesa danese, in visita in Ucraina, è tornato sulla questione dei jet, dei caccia, gli aerei da guerra. “L’Occidente deciderà entro l’estate”. Mentre il vice-premier ucraino è andato a chiedere altre armi in Canada.
Nelle prossime settimane la guerra dovrebbe diventare ancora più intensa, non sappiamo però con quali conseguenze.

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    Redazione
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    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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