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La risposta di Mosca ai carri armati occidentali, le linee rosse già superate dai paesi della NATO e le altre notizie della giornata

Kyiv Ucraina ANSA

Il racconto della giornata di giovedì 26 gennaio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Mosca ha risposto al via libera occidentale sui carri armati con un’ondata di bombardamenti che oggi ha colpito tutto il territorio ucraino, mentre Zelensky è già passato alla fase successiva e ora chiede all’occidente di inviare gli aerei militari. Gli italiani confermano il sostegno agli ucraini, ma allo stesso tempo sperano che la guerra termini il prima possibile e si dicono poco convinti dell’opportunità di inviare altre armi a Kiev: è quanto emerge dal sondaggio del network Euroskopia che nella parte italiana è stato curato da SWG. Stanno peggiorando le condizioni di salute di Alfredo Cospito: l’anarchico detenuto al 41 bis, da quasi 100 giorni in sciopero della fame, è caduto nella doccia e si è rotto il naso nel carcere di Sassari. Il segretario di stato americano Anthony Blinken ha annunciato che la prossima settimana andrà in Israele e Cisgiordania e ha chiesto la fine delle violenze, dopo che oggi nove palestinesi sono morti in un’operazione dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin..

Mosca risponde ai carri armati occidentali con un’ondata di bombardamenti

Mosca ha risposto al via libera occidentale sui carri armati con un’ondata di bombardamenti che oggi ha colpito tutto il territorio ucraino. Secondo Kiev nelle ultime ore gli attacchi sono stati 55 e le vittime sarebbero almeno 11.
Intanto i paesi NATO si stanno organizzando per inviare i carri armati il più in fretta possibile. Berlino e Londra parlano di fine marzo-inizio aprile, mentre la Polonia ha detto che potrebbe essere pronta ad inviarli già nelle prossime settimane.
Il presidente ucraino Zelensky, però, è già passato alla fase successiva e ora chiede all’occidente di inviare gli aerei militari. Per il momento gli Stati Uniti lo escludono, ma dall’inizio della guerra l’asticella dei rifornimenti militari occidentali all’Ucraina si è alzata ogni mese un po’ di più.

Le linee rosse superate dall’Occidente dall’inizio del conflitto

(di Martina Stefanoni)

Le linee rosse superate dall’occidente in questi mesi sono state tante. All’inizio della guerra si parlava di sanzioni sempre più severe nei confronti della Russia, e la linea rossa – quella che l’ avrebbe messa in ginocchio – era l’esclusione di Mosca dal sistema Swift. Poi, quando è diventato chiaro che niente di tutto questo stava rallentando – né tanto meno fermando – l’aggressione russa, l’occidente ha iniziato a parlare di armi. Il taboo allora erano le armi letali. Poi, in poco tempo, l’occidente ha cambiato approccio e solo un mese dopo da Stati Uniti e Regno Unito sono arrivati i sistemi missilistici anti aereo a corto raggio. A quel punto, la linea rossa da non oltrepassare sono diventati gli Himars, i lanciarazzi multipli a lunga gittata. Il punto quando quest’estate si discuteva se inviarli o no, era il timore che con gli Himars si potesse colpire anche all’infuori dei confini ucraini, provocando una reazione russa e quindi un’escalation del conflitto. L’esclation, già a quel punto, era evidente: armi in grado di abbattere aerei sono un’altra cosa rispetto agli aiuti per fermare i carri armati russi, così come un sistema lancia razzi a lungo raggio lo è rispetto ad uno a breve gittata. Lo stesso scenario si è sviluppato con i missili terra aria Patriot, al centro prima di grandi esitazioni occidentali e poi inviati a Kiev. Anche allora, però, Stati Uniti e Nato escludevano con forza l’invio di tank, che rappresentavano un effettivo nella strategia militare ucraina, che dalla difesa passava all’attacco. L’escalation è stata graduale ma costante. Ora Berlino e Washington hanno sciolto anche la riserva su Abrams e Leopard, e hanno oltrepassato anche questa linea rossa. Kiev, però, ha già rilanciato, e chiede ora gli aerei da combattimento.

La guerra verso il limite ignoto

(di Alessandro Gilioli)

A questo punto la domanda è una sola: dove vogliamo arrivare, in questa guerra? Fino a dove noi occidentali, noi europei, vogliamo spostare il limite del nostro coinvolgimento? A quale prezzo e per arrivare a cosa?

La risposta, al momento, non c’è: il limite rimane ignoto.

Si vede solo la spirale, ma non si sa dove ci porta.

E forse tutti i capi dei Paesi che armano sempre più pesantemente Kiev invece ce lo dovrebbero dire: qual è il limite, se c’è, e qual è l’obiettivo che abbiamo? E’ restituire l’Ucraina ai suoi confini del 2014, Crimea compresa, come dice Zelensky? E’ questo anche il l’obiettivo dell’Europa e dell’Occidente? E, in caso, fino a che punto siamo disposti ad arrivare per ottenerlo? Immettere nella guerra anche gli aerei, dopo aver dato i missili e i carrarmati? E dopo gli aerei che cosa resta, se non direttamente le truppe e magari il nucleare?
Chi sostiene la spirale delle armi dice che qualsiasi alternativa alla vittoria completa sarebbe un cedimento alla Russia, e il ragionamento ha una sua base logica, Ma purtroppo deve essere ribaltato: qual è l’alternativa alla trattativa? E’ la spirale di uno scontro totale tra Occidente e Russia che cresce all’infinito e senza limite?

A queste domande i governi europei e quello di Washington, finora, non hanno dato risposta.

Gli italiani sono tra i più scettici d’Europa sulle armi all’Ucraina

(di Mattia Guastafierro)

Gli italiani confermano il sostegno agli ucraini, ma allo stesso tempo sperano che la guerra termini il prima possibile e si dicono poco convinti dell’opportunità di inviare altre armi a Kiev. È quanto emerge dal sondaggio del network Euroskopia che nella parte italiana è stato curato da SWG.
Come nella media europea, anche in Italia il desiderio di far cessare il conflitto prevale sull’ambizione di vedere la Russia totalmente sconfitta. La metà degli intervistati infatti è convinta che la pace vada raggiunta anche attraverso la rinuncia dell’Ucraina a parte del proprio territorio. Un dato inferiore solo a quello registrato in Austria, Germania e Grecia.
Anche sulle armi, gli italiani sono tra i più scettici d’Europa. Il 46% non è d’accordo con l’invio di nuovi aiuti militari, un punto in più rispetto ai favorevoli. Un sentimento che però, in questo caso, è comune solo a quello di greci e austriaci. Mentre il resto dell’opinione pubblica europea si dice nettamente favorevole a rifornire militarmente Kiev.
In generale gli europei sostengono l’ingresso dell’Ucraina nella Ue, ma anche in questo caso con diversi gradi di convinzione.
Dopo l’Austria, l’Italia è il paese che esprime qualche perplessità in più. Il 49% è d’accodo, il 30% contrario, il 21% preferisce non rispondere.
Infine c’è la posizione sul gas che risente delle ripercussioni economiche. In Italia, su questo tema, l’opinione pubblica si divide, tra un 40% favorevole a riallacciare gli accordi con Mosca e un 43% convinto che il gas russo non vada mai più importato.

Le condizioni di salute di Alfredo Cospito stanno peggiorando

Stanno peggiorando le condizioni di salute di Alfredo Cospito. L’anarchico detenuto al 41 bis è caduto nella doccia e si è rotto il naso, hanno raccontato il suo avvocato Flavio Rossi Albertini e il suo medico che oggi lo ha visitato nel carcere di Sassari.
“È stato curato nella clinica di otorinolaringoiatria per ridurre la frattura scomposta alla base del naso – ha raccontato la dottoressa Angelica Milia – ma ha perso molto sangue, è debole, fatica a stare in piedi e ha difficoltà ad avere una normale termoregolazione corporea”.
Alfredo Cospito – condannato per aver messo una bomba davanti alla scuola allievi dei carabinieri di Fossano – è sottoposto al regime di carcere duro perché per i magistrati è un punto di riferimento della galassia anarchica a cui potrebbe fare arrivare messaggi dal carcere. Lui protesta per sé ma anche per gli altri detenuti al 41bis, contestando il regime di carcere duro. Per questo è in sciopero della fame da quasi 100 giorni.

Hamas annuncia che risponderà presto al massacro di Jenin

Il segretario di stato americano Anthony Blinken ha annunciato che la prossima settimana andrà in Israele e Cisgiordania e ha chiesto la fine delle violenze, dopo che oggi nove palestinesi sono morti in un’operazione dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin. L’obiettivo ufficiale era l’arresto di militanti della Jihad islamica, nel contesto di una serie di operazioni avviate lo scorso aprile e che solo questo mese hanno già causato la morte di 39 palestinesi. Il presidente Abu Mazen ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Il numero due di Hamas ha detto che Israele “pagherà il prezzo per il massacro di Jenin”, parlando di una risposta che “arriverà presto”. Il primo ministro israeliano Netanyahu ha riunito una serie di responsabili della sicurezza e ha detto che il paese non punta a un’escalation, ma anche che le sue forze sono “pronte a ogni sviluppo”.

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    Il 2 marzo il governo israeliano ordinava il blocco totale dell’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Oggi, esattamente due mesi dopo, il blocco è ancora in essere e da due mesi nella Striscia non entra niente: né cibo, né acqua, né medicinali, né carburante. La situazione peggiora giorno dopo giorno, le scorte sono ormai esaurite e la fame sta dilagando. In questo contesto di blocco totale, il più lungo che Gaza abbia mai sperimentato, dove morire di fame non è più solo un modo di dire, le ong e le organizzazioni umanitarie cercano di sopperire alle colpevoli mancanze dei governi. È in quest’ottica che la nave della Freedom Flotilla Coalition, si stava preparando a partire per Gaza carica di aiuti umanitari, con l’obiettivo di rompere l’assedio. Questa notte, però, la nave è stata colpita da due droni, che hanno fatto scoppiare un incendio e ne hanno ovviamente impedito la partenza. Abbiamo raggiunto a Malta Simone Zambrin, attivista di Freedom Flotilla, che si sarebbe dovuto imbarcare oggi per andare verso Gaza.

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    Il Comitato Sì Meazza presenta un esposto alla Corte dei conti contro il nuovo stadio

    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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