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L’obbligo del Green Pass per lavorare tra dubbi e timori, il processo per l’omicidio Regeni e le altre notizie della giornata

proteste green pass lavoro ANSA

Il racconto della giornata di giovedì 14 ottobre 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Le prossime due settimane, ragionano a Palazzo Chigi in queste ore, saranno decisive per capire se le proteste annunciate contro il Green Pass nei luoghi di lavoro saranno un fuoco di paglia e se le vaccinazioni aumenteranno. Al momento, però, a salire è soltanto il numero dei tamponi effettuati, che potrebbero diventare 8 milioni a settimana. Si è aperto oggi il processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni e la prima questione da valutare è legata all’assenza dei quattro imputati: rinvio o processo in contumacia? All’indomani della strage a Kongsberg, in Norvegia, le autorità norvegesi stanno trattando quanto accaduto come un caso di terrorismo islamico. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.

Scatta l’obbligo del Green Pass per lavorare tra dubbi e timori

Stasera a mezzanotte il Green Pass diventerà necessario per lavorare. Una scadenza annunciata da un mese, ma a cui si arriva comunque con dubbi e timori su quello che succederà a partire dalle prime ore di domani.

(di Andrea Monti)

Ormai da qualche giorno l’attenzione è concentrata innanzitutto su una città che raramente finisce nelle cronache nazionali. A Trieste il coordinamento di lavoratori Clpt aveva annunciato un blocco a oltranza del porto se l’obbligatorietà del certificato non fosse stata eliminata. Domani effettivamente ci saranno proteste nello scalo, ma la loro portata – o quantomeno la loro durata – potrebbe essere inferiore a quella ipotizzata nei giorni scorsi. Da altri porti, come quelli di Napoli e Palermo, arrivano rassicurazioni sul fatto che la percentuale di lavoratori non vaccinati sarebbe minima e che non dovrebbero esserci grossi rallentamenti. Qualche preoccupazione riguarda Genova, dove però oggi la situazione è diventata meno tesa per la fine di una protesta dei camionisti che durava da tre giorni. I trasporti via tir sono un altro settore su cui sono stati lanciati allarmi, in particolare dalle associazioni di categoria: quella che aderisce a Confindustria parla di un 30-40% del personale che potrebbe mancare, mentre secondo Trasportounito 80mila autisti “mancheranno all’appello” e ci saranno ritardi nelle consegne. Problemi sono attesi anche nel trasporto pubblico – a Milano però non dovrebbero esserci grandi disservizi, secondo le informazioni raccolte da Radio popolare. Tra le proteste va segnalata quella della Fiom dello stabilimento Leonardo di Caselle, nel torinese: l’annuncio è uno sciopero da domani al 31 dicembre se l’azienda non accetterà di pagare i tamponi. Infine le manifestazioni lanciate dai gruppi no pass nelle diverse città italiane già per domani, ma che dovrebbero essere più partecipate tra due giorni, di sabato, quando a Roma ci sarà anche la manifestazione con cui Cgil, Cisl e Uil risponderanno all’assalto alla sede del sindacato avvenuto proprio durante un corteo contro il certificato obbligatorio. In ogni caso poco fa il ministero dell’interno ha diffuso una circolare con cui invita prefetti e questori a intensificare il più possibile il controllo del territorio già a partire dalle prossime ore.

4 milioni di lavoratori senza certificazione verde, ma nessuna corsa alla prima dose

Oggi si è saputo che in un solo giorno – ieri – sono stati emessi 563mila Green pass, di cui la maggior parte (369mila) riguardano un tampone e non una vaccinazione. “In queste ore ci sono tante prime dosi”, aveva detto proprio ieri il ministro della sanità Roberto Speranza.

(di Ludovica Merletti)

Si può parlare di corsa alla prima dose, come decretato dal ministro Speranza? Dal 16 settembre, quando è stato annunciato l’obbligo di Green Pass sul posto di lavoro, sono state 1 milione e 800mila le prime dosi somministrate, una media di circa 65mila al giorno. Un picco c’è stato, dal 21 al 25 settembre, quando sono state sempre superate le 80mila prime dosi giornaliere, mentre nell’ultima settimana sono state sempre sotto le 60mila, con l’eccezione di ieri.
C’è stato dunque un aumento dei vaccinati, ma non si può parlare di una corsa al vaccino: dei 563mila Green Pass scaricati ieri, 370mila erano il risultato di tamponi negativi.
Oggi, secondo una stima della fondazione Gimbe, sarebbero quasi 4 milioni i lavoratori senza certificato verde, e a salire, più dei vaccini, sarà la richiesta di tamponi. Cartabellotta, presidente della fondazione, stima che potrebbero arrivare ad 8 milioni i tamponi settimanali, mentre ad oggi non si è mai superato il milione e mezzo.

Prezzo calmierato o sconto fiscale per le aziende che pagano i tamponi: le ipotesi del governo

Oggi i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil hanno incontrato Mario Draghi e gli hanno chiesto di ridurre il costo dei tamponi per i non vaccinati. Secondo indiscrezioni il governo starebbe valutando di renderli meno costosi per le aziende che decidono di farsene carico, mentre resterebbe esclusa l’ipotesi di garantirli gratis.

(di Luigi Ambrosio)

Le prossime due settimane, ragionano a Palazzo Chigi in queste ore, saranno decisive. Per capire due cose: se le proteste annunciate contro il Green Pass nei luoghi di lavoro saranno un fuoco di paglia oppure si consolideranno. E se le vaccinazioni aumenteranno. Su quest’ultimo dato si scommette poco. Ecco perché si sono fatte sentire le voci di chi ipotizza un calmieramento dei prezzi dei tamponi. Alcuni esempi di oggi: lo ha affermato il ministro del Lavoro Orlando. Lo ha chiesto il leader dei 5 Stelle, Conte. Il sottosegretario alla Salute, Costa, ha ipotizzato un calo del prezzo dei tamponi specificando “se ce ne saranno le condizioni”.
Altra cosa però è tradurre in termini concreti la riduzione del prezzo. Circola una ipotesi: che il governo faccia uno sconto fiscale del 30% alle imprese che mettessero i tamponi a disposizione gratuitamente. Un intervento indiretto, quindi, che scaricherebbe la maggior parte dei costi sulle aziende. Complicato.
Draghi viene descritto come deciso a mantenere una linea della fermezza. Eppure l’ipotesi di un obbligo vaccinale per il momento, dicono fonti della maggioranza, rimane lontano. Anche perché a insistere per questa strada, tra le forze politiche che sostengono il governo, rimane in questo momento il Partito Democratico. Salvini invece è pronto a cavalcare la protesta, e i Cinque Stelle sono lacerati dalle loro contraddizioni interne.
Solo se la campagna di vaccinazioni dovesse proseguire molto, troppo lentamente secondo il governo anche nelle prossime settimane, allora il tema dell’obbligo potrebbe tornare in agenda. “L’avvio del Green Pass nelle aziende sarà complicato ma è la strada giusta per spingere le vaccinazioni” ha detto oggi Orlando. Un ottimismo della volontà.

Prima udienza per l’omicidio Regeni tra ipotesi di rinvio e processo in contumacia

(di Martina Stefanoni)

Il generale Tareq, i colonnelli Helmy e Kamal e il maggiore Magdi Sharif. Sono i quattro imputati che la giustizia italiana aveva rinviato a giudizio per la morte di Giulio Regeni, più di 5 anni fa. Sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Ma oggi, giorno in cui si apre il processo, non sono presenti in aula. E proprio la loro assenza è la prima questione che viene valutata. Non è, ovviamente, una questione secondaria. I giudici dovranno decidere se proseguire il processo in contumacia, o se rimandarlo. Secondo la legge italiana non è possibile giudicare un imputato che non sia a conoscenza delle sue accuse e le autorità egiziane, per evitare che i quattro fossero giudicati, non hanno comunicato gli indirizzi degli imputati per la notifica degli atti, necessaria al proseguimento del processo. Secondo il giudice per le indagini preliminari, però, la notorietà del caso potrebbe considerarsi già di per sé una notifica. Quello che si stabilisce in questa prima udienza, però, è importante anche per un altro motivo: se si decidesse di procedere in contumacia sarebbe come stabilire che i 4 imputati potevano presentarsi, ma hanno scelto di non farlo. È invece più probabile che ad impedire la presenza a Roma dei 4 agenti egiziani sia stato il regime di Al Sisi e quindi autorizzare il proseguimento del processo, sarebbe come – in qualche modo – credere alle bugie dell’Egitto e scagionarlo.

Il Libano spaccato in due ad un anno dall’esplosione nel porto di Beirut

(di Martina Stefanoni)

Tarek Bitar è il nome che in questo momento è sulla bocca di tutti i libanesi e, occasionalmente, sui cartelli. Tarek Bitar è il giudice che guida le indagini sull’esplosione del porto di Beirut di poco più di un anno fa, dove morirono più di 200 persone. Tarek Bitar per alcuni sta combattendo una battaglia solitaria contro la corruzione, altri lo accusano di non essere imparziale e di aver politicizzato l’inchiesta prendendo di mira soprattutto politici di Hezbollah e Amal. Per le famiglie delle 219 persone morte nell’esplosione, Tarek Bitar è l’unica e ultima speranza.
Il problema è sempre lì, quando si tocca il potere, non si può pensare di cavarsela senza un graffio. Già precedentemente, un altro giudice che indagava sull’esplosione era stato licenziato dopo che si era indirizzato contro alcuni politici. Ora, la vicenda è la stessa.
Il giudice Bitar ha finora inserito nel registro degli indagati nove esponenti dell’establishment istituzionale e della sicurezza libanese. Tra loro ci sono anche deputati ed ex ministri di Amal e di Hezbollah. Più volte leader libanesi ed ex ministri hanno cercato di far sospendere Bitar, senza riuscirci. Oggi, la Corte di Cassazione di Beirut ha respinto l’azione giudiziaria presentata due giorni fa da due ex ministri che il giudice aveva cercato di interrogare in relazione all’esplosione. Questo aveva causato, per la seconda volta in 3 settimane, lo stop delle indagini. Per i parenti delle vittime, questo continuo rallentare le indagini è un’ulteriore dolore, che si aggiunge a quello che ormai non li abbandonerà più. È passato più di un anno dall’esplosione, e ancora nessuno è stato indicato come responsabile, e le domande continuano ad essere più delle risposte.
Oggi, mobilitati da Hezbollah e Amal, centinaia di persone sono scese in piazza per chiedere che il giudice Bitar venga sostituito. L’hanno definito schiavo degli Stati Uniti e hanno detto che ha trasformato le indagini in un gioco politico, anche se Tarek Bitar è noto proprio per la sua integrità e indipendenza e non ha nessuna affiliazione politica.
La manifestazione di oggi doveva essere pacifica, ma la situazione è velocemente precipitata, con scontri a fuoco tra manifestanti ed esercito. I due partiti sciiti hanno esplicitamente accusato il partito cristiano di aver “dispiegato gruppi di cecchini sui tetti”, definendo quanto successo, un agguato. Cosa sia successo, esattamente non è ancora chiaro. Quello che è evidente, però, è che Beirut, dopo le manifestazioni di questa mattina sembrava un campo di battaglia. Le vittime, al momento sono 6, decine i feriti. Quello che è evidente è che la profonda, profondissima, polarizzazione spacca in due il libano e lo paralizza. Cristiani e Sciiti, popolo e potere. Divisioni che si aggrappano e si attaccano a tutto quello che trovano, anche a un giudice che – come possibile – cerca di trovare la verità dietro ad un evento che ha ferito irrimediabilmente il paese.

Cosa sappiamo della strage in Norvegia

Quattro donne e un uomo, tra i 50 e i 70 anni, colpiti in modo casuale nei pressi di un supermercato. Sono le vittime dell’attacco avvenuto nella città di Kongsberg, in Norvegia, per mano di un uomo armato di arco e frecce, Espen Andersen Brathen. L’autore della strage è un 37enne danese convertitosi all’Islam qualche anno fa e già noto alle autorità perché si era radicalizzato e che al momento si trova nel carcere della cittadina di Drammen, dove sarà sottoposto ad una perizia psichiatrica. Le autorità norvegesi stanno trattando quanto accaduto come un caso di terrorismo islamico, anche se la dinamica, e soprattutto l’arma utilizzata, sono piuttosto insolite. Ne abbiamo parlato con Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera esperto di terrorismo:


 

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    L'uccisione negli Usa di Charlie Kirk rischia di innescare un incendio che travalica i confini americani. Da subito la destra “globale” ha lanciato in quasi in tutto l’occidente una campagna contro la sinistra – a tutte le latitudini e senza distinzioni - accusandola di essere complice se non responsabile di quella morte. È un passo in più, nel paradosso in cui siamo immersi: chi ha alimentato campagne di odio ora accusa gli altri di fomentarlo. Una confusione da cui sarebbe necessario uscire rimettendo in fila i fatti, le cause, gli effetti e il loro intreccio. L'intervista di Massimo Bacchetta a Federico Faloppa, docente di “linguaggio e discriminazione” all’Università di Reading (UK), prova a farlo. Federico Faloppa è anche referente scientifico per la “Rete per il contrasto ai discorsi e fenomeni d’odio”.

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    Edizioni le Assassine pubblica e continuerà a pubblicare letteratura gialla nei suoi molteplici sottogeneri, proponendo e riscoprendo autrici del presente e del passato. L'obiettivo è quello di mettere in luce la capacità dello sguardo femminile di descrivere, decifrare e interpretare vari contesti sociali, senza mai sacrificare la suspense che è tipica di questo genere. Con gli stessi obiettivi, nasce ora la nuova collana Sisters, che apre a voci inedite in grado di creare storie appassionanti e memorabili, portando il lettore su sentieri narrativi inaspettati. Il primo titolo di Sisters è "Le dita mozzate" di Hannelore Cayre, un noir atipico in cui il nostro passato remoto diventa lo sfondo perfetto per indagare la nascita della sottomissione femminile e le sue origini, ambientato nella preistoria ispirandosi alla scoperta, avvenuta in Francia esattamente quarant'anni fa, della famosa Grotta Chauvet, con le sue pareti ricoperte di misteriose impronte di mani femminili mutilate. Ne ha parlato a Cult la traduttrice Simonetta Badioli.

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    Pubblica di lunedì 15/09/2025

    A distanza di qualche giorno, il discorso di Mattarella del 10 settembre scorso a Lubiana, in Slovenia, prende sempre più la forma di un sincero grido di allarme sui pericoli che sta correndo l'Europa e il mondo. La Russia di Putin e i droni minacciosi di Mosca sconfinati in Polonia, da un lato, e i bombardamenti dell'aviazione israeliana su Doha, dall'altro, rappresentano un pericolo crescente, un «crinale - ha detto Mattarella da Lubiana - in cui anche senza volerlo si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata». E a governare questa situazione sembrano essere tornati i "sonnanbuli" di un secolo fa, quei goveranti che - secondo l'ormai classica tesi dello storico di Cambridge Christopher Clark - nel 1914 portarono l'Europa e il mondo alla prima guerra mondiale. Ma le preoccupazioni di Mattarella non finiscono qui. Nel messaggio inviato agli ospiti del Forum Ambrosetti di Cernobbio dieci giorni fa, il capo dello stato ha denunciato «il ruolo straripante delle corporazioni globali (Big Tech, ndr), quasi delle nuove Compagnie delle Indie». Secondo Mattarella, tali società globali «si arrogano un'assunzione di poteri che - insieme all'impulso di dominio neo-imperialista di alcuni paesi - rischia di essere letale per il futuro dell'umanità». Parola del presidente Sergio Mattarella. Pubblica oggi ha ospitato lo storico Giovanni Gozzini, dell'università di Siena, autore insieme a Marcello Flores di "Perchè la guerra" (Laterza, 2024).

    Pubblica - 15-09-2025

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    a cura di Chawki Senouci con Alfredo Somoza

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