Approfondimenti

Il processo a Israele per genocidio, la distanza tra Fratelli d’Italia e Lega e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di giovedì 11 gennaio 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. È iniziato oggi all’Aja il processo per genocidio presentato dal Sudafrica contro Israele, mentre i bombardamenti su Gaza continuano senza sosta. Le posizioni tra gli alleati, in particolare Fratelli d’Italia e Lega, restano distanti sulle prossime elezioni regionali. Stasera c’è un incontro tra governo e sindacati sull’ex Ilva e il futuro delle acciaierie è sempre più incerto. Il 2023 si è chiuso con un nuovo record di riscaldamento globale, quasi un grado e mezzo di media rispetto all’era pre-industriale e, com’era prevedibile, anche gli oceani hanno registrato una temperatura mai vista prima.

Israele a processo per genocidio davanti alla Corte Internazionale dell’Onu

È iniziato oggi all’Aja il processo per genocidio presentato dal Sudafrica contro Israele. Oggi gli avvocati della delegazione sudafricana hanno presentato il caso e le accuse su cui si basa. “I genocidi non vengono mai dichiarati in anticipo – ha detto uno degli avvocati sudafricani – ma questa corte può avvalersi delle prove delle ultime 13 settimane che mostrano in modo incontrovertibile un modello di condotta e le relative intenzioni che giustificano un’accusa plausibile di atti genocidiari”. Il ministero degli esteri israeliano ha detto che in questo modo il Sudafrica si rende braccio giuridico di Hamas. Domani sarà il turno di Israele, che risponderà alle accuse.

Il processo dura in totale due giorni, poi la Corte deciderà sul da farsi. Per arrivare ad una decisione definitiva sull’accusa sudafricana potrebbero volerci anni, ma nell’arco di qualche settimana potrebbe arrivare una decisione sulle richieste fatte dal Sudafrica per evitare che il genocidio si compia, che comprenderebbe un cessate il fuoco immediato. Le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia sono generalmente vincolanti, ma la Corte ha pochi mezzi per farle rispettare. In più, i casi di genocidio sono molto complicati – infatti fino ad ora nessun paese è stato condannato da questa corte per genocidio – proprio per la definizione molto stringente di questo crimine. Su cosa si è concentrata l’accusa sudafricana? Sentiamo Chantal Meloni, docente di diritto penale internazionale:

Una parte fondamentale per provare il genocidio è dimostrare l’intenzione. Il team sudafricano ha portato come prova di questo le dichiarazioni molto esplicite di diversi politici e alti funzionari israeliani, ma non è detto che queste bastino alla corte per dimostrare l’intenzione. Oggi comunque ci sono state diverse manifestazioni, soprattutto nel mondo arabo e nel cosiddetto sud globale, di sostegno al caso sudafricano. Anche in Cisgiordania centinaia di palestinesi si sono riuniti per seguire il processo e alcuni avevano cartelli con la scritta “Grazie Sud Africa”. Il fatto che sia stato proprio il Sudafrica a presentare l’accusa, non è un caso. Sentiamo Nicola Perugini, professore di relazioni internazionali all’Università di Edimburgo:


 

I bombardamenti su Gaza non si fermano

A Gaza intanto i bombardamenti continuano. Secondo Al Jazeera, otto persone sono rimaste uccise oggi in un bombardamento che ha colpito un’auto civile a Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza, mentre altri raid hanno colpito Rafah – al confine con l’Egitto – e i campi profughi del centro della striscia. Il ministero della salute di Gaza ha detto che il numero dei morti nella striscia dl 7 ottobre è salito a oltre 23.400. Secondo uno studio dell’agenzia umanitaria Oxfam, il tasso di mortalità giornaliero della guerra di Gaza è il più alto di qualsiasi altro grande conflitto del XXI secolo. Secondo Oxfam, l’esercito israeliano uccide in media circa 250 palestinesi al giorno e molte altre vite sono a rischio per colpa della fame, delle malattie e del freddo.

La vera posta in gioco per il centrodestra alle elezioni: il Veneto

(di Alessandro Braga)

Le smentite, fotocopia, arrivano una dietro l’altra. Prima Palazzo Chigi nega che si sia parlato di elezioni regionali, poi la Lega diffonde una nota in cui specifica che non c’è stato nessun incontro sulle amministrative. Quel che è certo, è che le posizioni tra gli alleati, in particolare Fratelli d’Italia e Lega, restano distanti. Non è solo sulla riconferma di Solinas in Sardegna che si gioca la partita. Certo, Salvini insiste sulla ricandidatura del governatore uscente, mentre i meloniani sembrano ormai indirizzati a sostenere Paolo Truzzu. Nell’isola si vota il 25 febbraio, e se nelle prossime ore non si arriverà a un accordo, la possibilità che il centrodestra si presenti diviso non è da escludere. Ma la vera posta in gioco è più in là nel tempo, e si chiama Veneto. Non è un caso che la Lega insista sul terzo mandato, e che abbia presentato una proposta di legge per introdurlo. E non è un caso che a presentarla sia stato Alberto Stefani, segretario della Liga Veneta ma molto vicino a Salvini. La possibilità di ricandidare Zaia alla guida della Regione il prossimo anno è fondamentale per il segretario leghista, che risolverebbe un doppio problema. Da un lato infatti stopperebbe gli appetiti di Fratelli d’Italia che potrebbero avanzare la pretesa di avere un loro candidato, scalzando il predominio leghista nella regione. Dall’altro un Luca Zaia senza incarichi istituzionali tra un anno, e magari dopo un risultato deludente alle elezioni europee del prossimo giugno, sarebbe un problema per Salvini e per la sua leadership all’interno del partito.

L’atteso incontro tra governo e sindacati sull’ex Ilva

Stasera c’è un incontro tra governo e sindacati sull’ex Ilva. Il futuro delle acciaierie è sempre più incerto, dopo la rottura del tavolo con la proprietà Arcelor Mittal. La multinazionale non vuole cedere il controllo dell’ex Ilva allo Stato e contribuire finanziariamente ai futuri investimenti. Questo è quanto ha spiegato oggi al Senato il ministro delle imprese Adolfo Urso che ha annunciato un intervento drastico, ipotizzando di far ricorso alle vie legali. Nel frattempo la città di Taranto vive il suo dramma perenne, tra sconforto e rassegnazione per una vertenza che da anni non vede soluzione. Angelo Cannata, cittadino e attivista di Taranto:


 

Il Mediterraneo è il mare che si sta riscaldando più velocemente di tutti

(di Sara Milanese)

Il 2023 si è chiuso con un nuovo record di riscaldamento globale, quasi un grado e mezzo di media rispetto all’era pre-industriale.
 Com’era prevedibile, anche gli oceani hanno registrato una temperatura mai vista prima.
A misurare la febbre dei mari è uno studio pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Science, dal titolo New Record Ocean temperatures and related climate indicators, condotto da un team internazionale, coordinato dall’Istituto di fisica dell’atmosfera dell’Accademia Cinese delle Scienze e composto anche da scienziati italiani di INGV ed ENEA.
Gli oceani coprono il 70% del Pianeta e assorbono, da soli, circa il 90% della radiazione solare che raggiunge la Terra. 
Sono quindi un aiuto fondamentale per limitare il riscaldamento globale. Ma chiaramente ne subiscono le conseguenze, e infatti nel 2023 hanno assorbito troppo calore: tra gli 8 e i 15 ZettaJoule in più rispetto al 2022.
 “Per avere un’idea”, precisano gli esperti, “1 ZettaJoule equivale al doppio della quantità di energia che alimenta ogni anno l’economia mondiale”
Tutta questa energia inglobata dalle masse marine modifica l’evaporazione delle acque superficiali, con le aree salate diventano sempre più salate.
Le conseguenze ricadono sulla vita marina, sulle correnti oceaniche e sulle interazioni con l’atmosfera, con danni agli ecosistemi, tempeste più violente, piogge e venti più forti.
Lo studio conferma che il Mediterraneo è il mare che si sta riscaldando più velocemente di tutti. E nel settembre 2023 ha raggiunto il valore termico più elevato dall’inizio delle rilevazioni

Il “conflitto armato interno” in Ecuador preoccupa l’intera regione

In Ecuador poco fa la polizia ha annunciato di aver arrestato altri dieci presunti membri di organizzazioni terroristiche, e di aver sequestrato loro armi ed esplosivi. A 4 giorni dalla proclamazione di “conflitto armato interno” da parte del neopresidente Daniel Noboa, nel paese è ancora in corso lo scontro tra autorità e gruppi legati al narcotraffico.
Finora sono stati arrestati poco più di 300 criminali, ma le autorità non hanno ancora ripreso il controllo della situazione. Il conflitto preoccupa l’intera regione: Perù e Colombia hanno rafforzato la presenza di militari al confine con l’Ecuador, mentre il Brasile ha offerto a Noboa l’aiuto della polizia federale brasiliana.

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