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Proteste in Kazakistan, tutta colpa dei bitcoin?

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Tutta colpa dei Bitcoin? Più passano i giorni e più il quadro in cui si è sviluppata la crisi energetica che ha portato alle rivolte in Kazakistan sembra condurre proprio alle criptovalute. Sarebbero infatti i Bitcoin l’elemento scatenante dei rialzi nei prezzi dei carburanti che hanno acceso la scintilla della protesta. Per capire il meccanismo, occorre fare un passo indietro.

Il business legato alla creazione di criptovalute, che in gergo viene chiamata “mining”, richiede l’uso di migliaia di computer, con i conseguenti costi legati ai consumi di energia elettrica e al loro raffreddamento. Chi opera nel settore, di conseguenza, è sempre a caccia di energia a buon mercato. Minori sono i costi, infatti, maggiori sono i profitti. Il Kazakistan, ricco di carbone, è da sempre un’ottima destinazione. I costi dell’energia elettrica sono infatti estremamente bassi e lo stesso governo spinge da tempo per attirare sul suo territorio chi opera nel settore, anche con investimenti milionari. Stando a un rapporto pubblicato lo scorso ottobre, il governo Kazako prevedeva di arrivare a raccogliere circa 1,5 miliardi di dollari di tasse nei prossimi 5 anni. La situazione è però degenerata a causa del recente provvedimento del vicino governo cinese, che ha messo al bando le criptovalute.

Migliaia di imprese specializzate nella generazione di moneta virtuale si sono infatti trovate a cercare una nuova collocazione e il Kazakistan è parso a molti, forse a troppi, la destinazione migliore. Nell’ultimo anno, la migrazione avrebbe interessato 88.000 società attive nel settore. Risultato: in questo momento si calcola che in Kazakistan sia concentrato il 18% della potenza di calcolo dedicata alla generazione di Bitcoin, un dato secondo solo agli Stati Uniti. Un vero boom, che ha però provocato un aumento dei consumi dell’8% in soli 12 mesi, con conseguenti problemi di approvvigionamento energetico e, a cascata, l’aumento dei prezzi dei carburanti. Il governo locale, però, non sembra avere intenzione di cambiare rotta e punta il dito sul fenomeno del mining illegale, cioè sui produttori di criptovalute non registrati, che secondo le dichiarazioni ufficiali sarebbero responsabili del doppio dei consumi dei produttori ufficiali. Difficile dire se questa stima sia fondata, ma il problema persiste e il caos nel paese continua.

  • Autore articolo
    Marco Schiaffino
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