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Il coraggio di Máxima. Contro la febbre dell’oro

“Non esco mai senza lasciare qualcuno della mia famiglia in casa, altrimenti quelli della corporation, che ci vogliono cacciare per estrarre l’oro, la distruggono”. Il coraggio, la determinazione di Máxima Acuña de Chaupe a difesa dell’ambiente, della sua terra, sono diventati da tempo un caso internazionale.

E ora a Máxima, donna peruviana, è stato assegnato il “Nobel per l’ambiente”, il premio Goldman 2016, il massimo riconoscimento per coloro che nel mondo si battono a difesa dell’ecosistema, anche mettendo ad alto rischio la propria vita.

Il premio, nel 2015, venne assegnato a Berta Cáceres, la militante honduregna uccisa il 3 marzo scorso.

Máxima Acuña de Chaupe vive a oltre 4.000 metri sulle Ande peruviane, nella regione di Cajamarca, dove sta conducendo una battaglia durissima.

Da tempo, con il marito e i due figli, si oppone alla cessione dei 25 ettari di terreno di sua proprietà dal 1994, che la Minera Yanacocha (della Newmont Mining Corporation per il 51,35 per cento, della Compañia de Minas Buenaventura per il 43,63 per cento e dall’Ifc del Gruppo Banca Mondiale per il 5 per cento) rivendica invece come suoi. Ma i ricorsi legali, durati quattro anni, hanno dato ragione a Máxima. È stata assolta dall’accusa di aver usurpato i terreni.

E la lotta di Máxima contro la multinazionale e il progetto estrattivo Conga continua, nonostante le minacce, le violente pressioni fisiche e psicologiche, nonostante le abbiamo distrutto i raccolti, ucciso gli animali e reclusa la proprietà con una serie di recinzioni (nella foto sotto, Máxima con il figlio) che obbligano chiunque voglia farle visita ad attendere un lasciapassare della vigilanza.

In difesa di Máxima si sono mobilitate numerose organizzazioni a difesa dei diritti umani, tra cui Amnesty International.

maxima con il figlio

 

La resistenza di Máxima non è solo la difesa legittima della casa di sua proprietà, come gran parte della popolazione locale, ma è una lotta contro il progetto Conga della multinazionale che al posto di cinque laghi sorgivi e dell’ecosistema andino vorrebbe una miniera d’oro e di rame a cielo aperto. Se passasse questo progetto l’ambiente, la fauna, l’agricoltura e quindi la vita di gran parte della popolazione locale verrebbero pesantemente danneggiati. Per questo, negli ultimi anni, ci sono state manifestazioni, spesso represse dalla polizia.

maxima polizia

 

Simona Carnino ha realizzato un bel reportage su questa storia, incontrando personalmente Máxima. Il reportage si chiama “Aguas de Oro”.

[youtube id=”f02LbhNniGk”]

 

Scrive Simona Carnino: “Il progetto Conga prevede la distruzione della laguna Azul, Perol, Chailluagón, Empedrada per la realizzazione di due miniere a cielo aperto, due depositi di materiali di scavo e spianate per installazioni per un netto di 3.000 ettari di flora e fauna cancellata. L’azienda prevede la realizzazione di quattro bacini artificiali con una portata d’acqua maggiore dei laghi naturali. Ma per la popolazione di Celendin, Cajamarca e Hualgayoc le lagune sono molto di più di riserve d’acqua. Fanno parte di un bacino idrogeologico complesso da cui nascono i cinque fiumi che scendono verso le tre province. Gli scavi di Conga potrebbero danneggiare il sistema di vasi comunicanti del bacino, pregiudicando l’irrigazione di circa 25mila ettari”

La lotta di Máxima si inserisce in una mobilitazione a tutela dell’ambiente piu ampia in Perù, in cui spesso le donne andine, con il loro coraggio, sono protagoniste.

Dei 113 conflitti socio-ambientali in Perù, secondo il rapporto pubblicato dalla Denfensoria del Pueblo, (organo costituzionale autonomo dello Stato peruviano, creato con la Costituzione del 1993, per difendere i diritti fondamentali), settanta conflitti coinvolgono imprese estrattive. Si scontrano vigilanza privata e polizia da un lato e i contadini dall’altra. Lotte dure, tenaci contro colossi come la Southern Copper Corporation, e la Minera Yanacocha.

In questo contesto Máxima Acuña de Chaupe ha ricevuto il “Nobel per l’Ambiente”, Goldman Prize 2016. Per lei un riconoscimento importante, e anche un momento di grande emozione.

[youtube id=”C_qt3D19ENY”]

 

Insieme a Maxima sono state premiate con il Goldman Prize altre cinque persone. Queste le motivazioni:

Tanzania. Edward Loure guida una organizzazione di base che ha aperto la strada a un sistema che permette di assegnare terre e campi alle comunità indigene, invece che ai singoli individui, nel Nord della Tanzania, garantendo la tutela ambientale di oltre 200.000 acri di terra per le generazioni future.

Cambogia. Lung Ouch in uno dei Paesi più pericolosi al mondo per gli attivisti ambientali, è andato sotto copertura per documentare il disboscamento illegale in Cambogia e la dilagante corruzione, che privano le comunità rurali delle loro terre, costringendo il governo a cancellare le grandi concessioni di terra.

Slovacchia. Zuzana Caputova, avvocata e madre di due figli, ha guidato con successo la campagna che ha permesso la chiusura di una discarica di rifiuti tossici che stava avvelenando la terra, l’aria e l’acqua nella sua comunità, creando un precedente per la partecipazione pubblica nella Slovacchia post-comunista.

Porto Rico. Luis Jorge Rivera Herrera ha contribuito al successo della campagna per la creazione di una riserva naturale nel Puerto Rico’s Northeast Ecological Corridor – un importante luogo di riproduzione delle tartarughe a Porto Rico – difendendo così le tartarughe dal rischio di estinzione e allo stesso tempo proteggendo il patrimonio naturale dell’isola dallo sviluppo dannoso.

Stati Uniti. Destiny Watford in una comunità i cui diritti ambientali sono stati a lungo messo da parte per concedere spazi all’industria pesante, ha ispirato i residenti di un quartiere Baltimora per sconfiggere i piani per la costruzione del più grande inceneritore della nazione, a meno di un miglio di distanza dal suo liceo.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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