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Un ponte antimafia tra Milano e la Calabria


Un ponte antimafioso tra Milano e la Calabria.

E’ stato il filo conduttore degli ultimi quattro incontri del ciclo “Lezioni di antimafia”.

Un ponte tra Milano e chi in Calabria lotta contro la ‘ndrangheta, cerca un riscatto contro il potere delle organizzazioni mafiose, contro l’isolamento in cui le mafie vorrebbero rinchiudere la Calabria.

Il 21 marzo scorso il fondatore di Libera don Luigi Ciotti, dal palco della manifestazione di Locri per la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, ha detto: “siamo tutti calabresi”. Era una risposta a quelle scritte (“don Ciotti sbirro”) apparse il giorno prima sui muri di Locri  e riproposte anche nella giornata di ieri a Palermo. Quel “siamo tutti calabresi” esprimeva anche la volontà di  “illuminare” la Calabria, rendere visibile chi combatte le mafie.

Il ciclo Lezioni di antimafia  ha reso visibile il ponte tra Milano e la Calabria.

– Lunedì 27 marzo, nella sesta lezione nell’auditorium di Radio Popolare, abbiamo ospitato Sabrina Garofalo, sociologa, collaboratrice di ricerca presso il Centro Women’s Studies Milly Villa dell’Università della Calabria. Garofalo si occupa di studi di genere, migrazioni, Mediterraneo, mafie ed antimafia. Titolo della lezione:  “Il diritto di avere diritti in Calabria”.

– Due settimane dopo, lunedì 10 aprile, sono stati ospiti della settima lezione due presidi calabresi. Pietro De Luca, preside all’Istituto Marignoni Polo di Milano e Pietro Maradei, dirigente scolastico del liceo scientifico “Fortunato Bruno” di Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza. Titolo della lezione: “Educare all’antimafia: il ruolo della scuola”.

Mercoledì 26 aprile, ottava lezione: “Le intimidazioni mafiose: storie di imprenditori che resistono”. Abbiamo ospitato Gaetano Saffioti, imprenditore di Palmi (Reggio Calabria). Dopo anni di minacce, estorsioni, ricatti da parte degli uomini della ‘ndrangheta nel 2002 Saffioti decide di denunciare gli esponenti delle famiglie ‘ndranghetiste che lo taglieggiano. Dopo quella denuncia – ha raccontato l’imprenditore calabrese – “sono diventato un uomo libero”, libero di scegliere anche di restare nella sua Palmi: “ho voluto restare nella mia terra – dice – per dimostrare di essere una risorsa”. Da quel 2002 Gaetano Saffioti vive sotto scorta con la sua azienda – oggi ritornata ad essere florida, dopo un primo momento di crisi – trasformata in quello che l’imprenditore ha definito “un avamposto in terra di ‘ndrangheta”.

Lunedì 8 maggio, nona lezione: “L’antimafia inventata dai ragazzi. La solidarietà in aula a Denise”. Nell’auditorium di Radio Popolare sono intervenute le ragazze del presidio di Libera “Lea Garofalo”. Lea Garofalo è la giovane donna calabrese, 35 anni, di Petilia Policastro (CR), uccisa dalla ‘ndrangheta. Tra gli assassini  il suo ex compagno Carlo Cosco. Lea Garofalo fu uccisa per aver avuto il coraggio di denunciare le faide mafiose tra la sua famiglia e quella dei Cosco. La figlia di Lea, Denise Cosco, decise di testimoniare al processo di Milano contro il padre ed ex compagno di sua madre, Carlo Cosco. Un processo arrivato poi nel dicembre del 2014 a sentenza definitiva. La Cassazione confermò i 4 ergastoli per l’assassinio di Lea Garofalo, tra cui quello per Carlo Cosco.

Lunedì 22 maggio ci sarà l’ultima e decima lezione.

Saremo alla vigilia del venticinquesimo anniversario della strage di Capaci, l’uccisione del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Titolo dell’ultimo incontro: “Cosa hanno veramente detto Falcone e Borsellino”. La lezione sarà tenuta da Giuseppe Teri che è stato insegnante a Milano e fa parte della Scuola di Formazione “Antonino Caponnetto” e di Libera Milano.

 

  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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    Con il passare dei giorni e delle settimane aumenta la confusione. Sono confuso perché non riesco a dare la dimensione giusta ad una serie di fatti che si addensano nel nostro quotidiano: le guerre, sia in medioriente che nell’europa orientale, che altrove sul pianeta; le stragi continue (penso a Gaza); il clima surriscaldato che presenta il conto. E il conto è sempre più salato a causa del riarmo. Un conto che – per essere pagato - rischia di negare ad un’intera generazione il welfare e l’idea stessa del diritto ad una cura universale e pubblica. Più armi, meno ospedali, dunque. A questo elenco vi aggiungerei anche le narrazioni che continuano ad essere propalate dal mondo digitale: l’intelligenza artificiale – dicono – presto prenderà il sopravvento sull’intelligenza biologica (recentissimi i racconti del premio Nobel per la fisica, già alto dirigente di Google, Jeffrey Hinton). La confusione è generata dal fatto che le priorità si moltiplicano. Ma se le priorità si moltiplicano, rischiano di non essere più delle priorietà. Come la mettiamo? Condividete o respingete? A Pubblica rispondono Roberto Escobar, filosofo, docente di filosofia politica e analisi del linguaggio, autore di «Metamorfosi della paura» (Mulino); e Chiara Volpato, sociologa, ha insegnato psicologia sociale all’università di Milano Bicocca, autrice di «Psico-sociologia del maschilismo» (Laterza). A Escobar e Volpato Pubblica ha chiesto di ragionare su un’altra circostanza, e cioè la percezione che si viva sempre più in un clima denso di violenza, a tutti i livelli. Dalla violenza dei potenti (le guerre, le operazioni speciali) alla violenza di genere, maschile contro le donne. C’è uno slittamento verso l’autoritarismo, il gangsterismo, hanno scritto due americanisti come Mario del Pero e Federico Romero (ieri sulla prima pagina del quotidiano Domani). E il sociologo Nando dalla Chiesa, intervenendo ad un seminario dell’Osservatorio sull’autoritarismo all’università Statale ha ricordato il legame tra la violenza contro le donne, i femminicidi, e le forme di autoritarismo.

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