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Perché Parisi non deve diventare sindaco

Ci sono almeno cinque ragioni e mezzo per cui Stefano Parisi non deve diventare sindaco di Milano.

  1. Milano sarebbe l’unica grande città europea governata da una coalizione di cui fa parte un partito, la Lega Nord, con posizioni apertamente xenofobe, razziste e con un’alleanza organica con formazioni politiche neofasciste. La vittoria di Parisi ci porterebbe vicino a Budapest e ben lontano da Londra o Barcellona. Sarebbe il trampolino di lancio per la destra lepenista a livello nazionale.
  2. Milano sarebbe in ostaggio due volte. Da una parte, della fase crepuscolare di Silvio Berlusconi sia come politico, sia come imprenditore. Nonostante le sue condizioni di salute, non uscirà di scena e userà il suo successo nel capoluogo lombardo come strumento per i suoi fini personali. Dall’altra, Milano sarà ostaggio della voglia di egemonia politica e culturale della Lega. Avremo un Centralino Gender anche al Comune di Milano?
  3.  La Milano dei diritti civili ne soffrirà. E’ vero che Stefano Parisi ha promesso che rispetterà la nuova legge sulle unioni civili, ma quali politiche sociali adotterà la sua giunta rispetto alle coppie di fatto e alle unioni omosessuali?  Il modello è quello del Family Day? Tutti gli altri non avranno più cittadinanza a Milano? Visto le premesse, è facile intuire le risposte.
  4. La Milano della legalità subirà forti contraccolpi. Una delle uscite più infelici di Stefano Parisi durante la campagna elettorale riguarda la Commissione antimafia del Comune di Milano. L’ha definita come uno strumento retorico, e quindi inutile. Eppure nel corso di questi anni è stato un importante presidio di controllo e monitoraggio sul territorio. Quella polemica sulla retorica dell’antimafia fa comprendere quanto Stefano Parisi non abbia capito l’importanza della diffusione di una cultura antimafiosa anche a Milano.
  5. La Milano delle donne diventerebbe molto marginale nel parlamentino della città. E’ noto, ma è bene ripeterlo. La vittoria di Stefano Parisi porterebbe ad avere 11 consigliere comunali su 48, tra cui solo 4 in maggioranza. In caso contrario, le donne sarebbero 20, di cui 16 in maggioranza.

L’ultima (mezza) ragione non riguarda Stefano Parisi, ma le dinamiche politiche nazionali.

Il voto amministrativo è diventato un voto contro Matteo Renzi. Se questo è avvenuto, è colpa del presidente del Consiglio che ha personalizzato lo scontro sul referendum costituzionale. Questo scontro si è sovrapposto alle elezioni del 19 giugno, che sono così diventate il banco di prova di quell’appuntamento.

Se il centrosinistra dovesse perdere a Milano, Renzi uscirebbe sconfitto dalle amministrative. Sarebbe un durissimo colpo. Ma non tanto forte da scalzarlo: come ha già annunciato, non si dimetterà. Direbbe che la colpa è di chi ha giocato la partita nel capoluogo lombardo e ha sbagliato il “calcio di rigore”. Rimarrebbe (più debole) a Palazzo Chigi, a combattere la vera partita decisiva: quella di ottobre.  Renzi avrebbe ancora carte da giocare. Milano, invece, sarebbe in mano alla destra.

  • Autore articolo
    Michele Migone
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    MILANO, VENDITA DELLO STADIO: TEMPI SUPPLEMENTARI?

    Stringono i tempi nella procedura di vendita dello stadio Meazza. Nel giro di pochi giorni è prevista la delibera di Giunta e il voto in Consiglio comunale per autizzarla. In una procedura che sembra quasi gia scritta, nelle ultime ore appare qualche fatto nuovo: un'assemblea molto partecipata a Milano, una proposta per prendere più tempo, il ritorno alla carica di chi chiede un referendum per decidere. In zona Cesarini potrebbero decideresi i tempi supplementari? Ospiti: Roberto Maggioni, redazione locale di RP; Franco D'Alfonso, Centro Caldara di Milano, estensore della proposta; Gabriele Mariani, Comitato Referendum per San Siro; Bruno Ceccarelli, Pd Milano, Commissione urbanistica; Lia Quartapelle, parlamentare Pd. In studio Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

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