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Pardo d’Onore al cinema magico di Jodorowsky

Invitato al Festival del film di Locarno per ricevere il Pardo d’Onore, Alejandro Jodorowsky ha portato in Piazza Grande la sua ultima fatica Poesia sin fin, già presentato in anteprima allo scorso Festival di Cannes. Il regista cileno, noto per i film El topo, Santa sangre, La montagns sacra e La danza de la realidad, in questo ultimo lavoro si è concentrato su se stesso, raccontando una storia autobiografica e famigliare nella Santiago degli anni ’40 e ’50, quando da ragazzo si avvicianava alla poesia e alla vita bohémien. Nato in Cile nel 1929 da genitori immigrati dalla Russia, ha vissuto in Francia frequentando i surrealisti, dove cominciò a fare arte e documentari con Roland Topor, con cui fondò il Movimento Panico, anche con Fernando Arrabal, mescolando il cinema di Luis Bunuel, il teatro della crudeltà di Antonin Artaud e il dio Pan, per costruire atti scenici e performance provocatorie in risposta al sistema. In Messico nel 1970 il suo primo lungometraggio e successo El topo, i fumetti, la poesia, la filosofia, i saggi e tutte le altre discipline da lui inseguite, oltre al cinema. Tra queste l’invenzione della psicomagia e lo studio dei tarocchi, che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.

Accolto a Locarno come una sorta di sacerdote laico, amato dai cinefili e dagli appassionati di psicomagia, Jodorowsky parla per aforismi e frasi lapidarie, ma senza prendersi troppo sul serio. Invita il pubblico a partecipare attivamente, uedo le mani come in un grande cerchio magico e rivolgendo loro domande. Durante l’incontro, ad un certo punto celebra persino un matrimonio tra un ragazzo e una ragazza: “Abbracciatevi, unite i vostri cuori e trasmettete il vostro passato da uno all’altro, per prepararvi a un futuro insieme. Unitevi al cosmo e vi dichiaro due immagini dello stesso specchio.”

“Tra l’arte e il commercio ho sempre scelto l’arte”, Jodorowsky ama ripeterlo sempre, anche per cominciare il suo incontro a Locarno 69. “Metto tutta la vita in quella faccio, per questo ho sempre potuto scegliere cosa fare e con chi farlo. Il cinema è business, è stato creato per fare soldi, se fai arte invece non fai business. Non mi considero cineasta, ma artista”.

Il suo ultimo film è stato girato in Cile, dopo tre anni d’assenza da La danza della realtà, primo capitolo di una trilogia dedicata alla sua vita. Due mesi di preparazione e trentacinque giorni per girare un film di due ore. “Con questi tempi ho dovuto credere nei miracoli, che alla fine si sono avverati.”

Nei film di Jodorowsky spesso ci sono situazioni difficili da realizzare, molto estreme e a volte intollerabili, i protagonisti sembrano manipolati per arrivare a quel risultato: “Quando faccio i miei film ho sempre pochi soldi, quindi gli attori che partecipano sono spinti da grande passione, io li scelgo quasi in trance e spesso loro sono già in grado di dare quello che io chiedo nel film. Cerco sempre di fare un cinema profondo, che racconti la vita e chi lavora con me condivide la stessa ambizione.”

Un fiume di ricordi sul periodo del Movimento Panico, a cui era stato dedicato anche un Cineclub a Parigi. “Io ero il più nevrotico, Topor il più creativo, lavorava solo con una matita e una gomma, non avevo i soldi per realizzare opere immense, si accontentava di poco e faceva arte immensa con semplicità”.

Parla della psicomagia, a cui ha dedicato un libro famosissimo, su com’è nata questo passione per cui ha trascorso anni di studio, influenzando la sua arte e il suo cinema. “In Messico ho trovato di tutto sulla magia, lì c’è un vero mercato degli stregoni. Ho incontrato tanti sciamani e la mitica Pachita, una guaritrice molto amata, bravissima. Apriva il torace con un coltello, cambiava il cuore, operava gli occhi, era incredibile. L’ho vista entrare in trance, le ho fatto leggere una poesia e si è trasformata in un personaggio mitico. Le ho visto fare cose pazzesche, non so se vere o finte, ma al momento esistevano”.

Si definisce un cialtrone come psico sciamano e, tra il serio e il faceto, descrive alcune delle sue terapie surreali, che hanno reso felici persone infelici. E a margine racconta che quando presentò El topo a New York, John Lennon vide il film e propose al suo produttore di dargli un milione di dollari per produrre il film successivo, La montagna sacra. Così fu.

“La mia colonna vertebrale è la poesia, la ricerca della bellezza. Attraverso il linguaggio si cercano bellezza, verità e bontà. Le tre Grazie sono verità, bellezza e bontà. Vanno di pari passo”.

Un regista messo a nudo come essere umano, che racconta la sua difficoltà di amare e di capire le donne, nel suo ultimo film Poesia sin fin descrive la società machista in cui è cresciuto, il rapporto complicato con il padre e rivela di aver cercato la donna della sua vita in tante donne diverse e nevrotiche come lui. E finalmente di averla trovata, a 74 anni: si chiama Pascale e fa la costumista. La coinvolge al tavolo e l’incontro si trasforma in uno scambio fisico di abbracci con il pubblico, a cui lui non si sottrae, perchè fa parte del suo modo di comunicare con chi viene ad ascoltarlo.

“Ho scelto la povertà, avrei potuto essere Steven Spielberg, ma ai soldi ho preferito altre cose meravigliose”. Facciamo finta di crederci, perchè anche Jodorowsky è d’accordo con Fernando Pessoa quando dice “O poeta è um fingidor”.

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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