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Ottimi i concerti ma l’organizzazione…

La prima edizione di Firenze Rocks passerà alla storia per aver ospitato l’eccellente primo spettacolo italiano di Eddie Vedder in solo. La voce dei Pearl Jam incanta le oltre 40mila persone accorse alla Visarno Arena, nuova location all’interno dell’ippodromo Visarno. Oltre due ore di concerto, dove Vedder alterna chitarre acustiche ad elettriche, ukulele e banjo, e anche un po’ di organetto per cantare Comfortably Numb dei Pink Floyd.

Avrei voluto sentire la cover di Should I Stay Should I Go, fatta per buona parte del tour, ma quello che il cantante mette in campo a Firenze non lascia spazio alle lamentale o ai dissapori: uno spettacolo magnifico, potente, romantico, spiritoso, unico. Decine di migliaia di persone pendono dalle labbra e dalle mani di Vedder che scherza con il pubblico, beve vino rosso, prova a parlare in italiano, racconta storie di vite, e soprattutto emoziona chi è presente. Tante persone piangono, tantissime cantano, la felicità pervade chi è presente. Non si esagera nel dire che il concerto di sabato 24 giugno, aperto da Samuel e Glen Hansard, è un pezzo di storia, uno di quei concerti per cui si parlerà per anni e che tante e tanti inseriranno tra i migliori visti e sentiti.

Il venerdì erano stati Aerosmith e Placebo ad aprire le danze, nella steppa della Visarno Arena. La posizione centrale e ben servita dai mezzi, a sole due fermate di tramvia dalla stazione Santa Maria Novella, rende la location sicuramente interessante per il futuro, e non solo per i fiorentini. Ma un grande festival ha bisogno di spazi dove ripararsi dal sole e dove svaccarsi per ore, i prossimi mesi dovranno servire a migliorare questo aspetto. Oltre che di navette che permettano a chi ha problemi di mobilità di arrivare agli ingressi. I bar tornano ad essere un problema, non dissimile da quello che è stato per gli Idays: code lunghissime, spine insufficienti per l’afflusso di persone, i Token come unica moneta interna. E come a Monza anche a Firenze la fastidiosa dimensione minima d’acquisto di 5 Token, non rimborsabili né utilizzabili i giorni seguenti.

Inizia a diventare stucchevole e non solo furbesca questa gestione. I token non sono il problema, ma la loro gestione sì. E di furberia in furberia non vorrei che il pubblico si stancasse di andare ai concerti come di votare. Durante il concerto di Vedder venditori abusivi rompevano il monopolio dei token e in tantissimi compravano birre in lattina da loro usando gli euro che avevano in tasca. Nella stagione dei controlli e della retorica della sicurezza che fa togliere i tappi dalle bottigliette d’acqua ai varchi resta misteriosa la dimensione spazio-temporale che porta decine di persone con zainetti carichi di birre sempre fresche a vendere lattine all’interno dell’area.

Domenica lo scenario non cambia, il caldo continua a battere sulla testa delle persone, scompaiono i venditori interni di birra e restano token, steppa e code ai bar. Sul palco Prophets of Rage e System Of A Down. I suoni tornano distorti e la batteria batte il tempo delle canzoni. I Prohets of Rage con la formazione fatta da ¾ di Rage Against The Machine più Chuck D e B Real regalo 66 minuti di crossover. Certo l’assenza di De La Rocha si sente, ma i pezzi di RATM sono magistralmente eseguiti da un orchestra capitanata da un Tom Morello in grande spolvero. La polvere della steppa fiorentina copre la visuale del palco durante il pogo su Killing in The Name Of. Il quintetto americano ospita la voce dei System Of a Down, Serj Tankien, per un tributo all’amico collega Chris Cornell. Le luci del sole sono ancora alte quando i Prophets lasciano il palco per il loro unico, e primo, show italiano e i tecnici preparano il set per i System Of A Down. Poco meno di un’ora e mezza di spettacolo, con 28 brani eseguiti. Bravi e potenti, come poche volte in Italia, l’unica data nel Paese passa via veloce, forse troppo, tra una grande hit e un pezzo famoso. Il primo Firenze Rocks chiude le porte con tante potenzialità davanti. L’affaire “Token” e code ai bar speriamo resti un ricordo dell’estate 2017 e che lo spirito dei festival europei invada finalmente il nostro Paese, perché la cura ai particolari nell’organizzazione di un evento che supera di durata il tempo di un singolo concerto non può essere secondaria e pare invece essere accortezza, ancora, di pochi promoter.

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    Andrea Cegna
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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