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Migliaia di chilometri di nuovi oleodotti, alla faccia del cambiamento climatico

Adrin Tugume ha 53 anni, dieci figli, e abita in Uganda. Per sostenere la sua famiglia, ha sempre coltivato nel campo vicino a casa alberi da frutto e piante medicinali, da vendere anche ad altre persone del suo territorio. Da alcuni mesi, però, Adrin non può più utilizzare il suo campo: lì, deve sorgere un nuovo oleodotto.

Uganda e Tanzania infatti hanno in atto alcuni accordi con la francese Total e con la National Offshore Oil Corporation cinese per la costruzione di 1.500 chilometri di nuovi oleodotti. Nel 2006 in Uganda sono stati scoperti nuovi giacimenti petroliferi e l’esportazione del petrolio è diventata un’opportunità per il governo ugandese, che però non ha sbocco sul mare: così, il nuovo oleodotto attraverserà anche la Tanzania.

La popolazione locale si sta opponendo da mesi alla sua costruzione: gli attivisti spiegano che decine di migliaia di persone dovrebbero spostarsi dai loro terreni. In più, l’oleodotto attraverserebbe alcuni parchi naturali dove vivono specie animali a rischio di estinzione. Per questo motivo, ovviamente, è forte l’opposizione degli attivisti per il clima di tutto il mondo. Secondo le stime dei promotori, invece, il progetto potrà portare 10.000 posti di lavoro in Uganda e ingenti introiti economici.

I 1500 nuovi chilometri di oleodotto sono solo una piccolissima parte di tutti quelli in costruzione nel mondo. Un nuovo report del Global Energy Monitor ha verificato che quelli in costruzione o in via di sviluppo sono 24.000. Stati Uniti, India, Cina, Russia sono i Paesi maggiormente coinvolti. La Russia, ad esempio, ha previsto la costruzione di nuovi oleodotti per aumentare gli scambi con India e Cina, soprattutto dopo il blocco delle esportazioni verso l’Europa. Progetti che portano in direzione totalmente opposta rispetto agli impegni che i Paesi stanno prendendo per combattere la crisi climatica. Sentiamo il commento di Luca Iacoboni, responsabile programmi nazionali di Ecco, un think tank che si occupa di clima ed energia in Italia.

In alcuni casi, come quello dell’Uganda, il governo si oppone ad ogni considerazione sulla crisi climatica: il Paese, dicono i suoi rappresentanti, ha tutto il diritto di puntare a uno sviluppo economico, e sino ad ora la sua responsabilità nella crisi climatica è stata minima. È la risposta che il Paese ha dato anche al Parlamento europeo a metà settembre, quando è stata approvata a livello europeo una risoluzione per chiedere di mettere fine alle attività estrattive nel Paese…

24mila chilometri di nuovi oleodotti equivalgono a due volte il diametro della Terra. Sarà importante continuare a monitorare lo stato di avanzamento di ogni singolo progetto.

Chiara Vitali

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    In Etiopia inaugurata la diga della discordia

    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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