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Il femminismo è vivo

La politica dal basso la stanno facendo le donne. Mentre il governo ripete ogni 25 novembre slogan di circostanza contro la violenza di genere, le persone che non sopportano un femminicidio ogni tre giorni – ma nemmeno gli stupri, un numero schiacciante di obiettori di coscienza negli ospedali, i salari più bassi e i tagli al welfare scaricati sulle spalle delle donne – sono scese in piazza, compatte e combattive.

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Fianco a fianco le operatrici dei centri antiviolenza non istituzionali, le ragazze dei collettivi, le tante associazioni che lavorano sull’educazione alle differenze, le famiglie tradizionali e non, i gruppi lgbtq, nonne, madri, figlie, nipoti. Una geografia del paese, che da nord a sud si confronta con la metà della popolazione discriminata, ignorata, esclusa dai posti di potere.

Il femminismo ritorna, come è stato nella sua storia: delle sue pratiche e dei suoi slogan si appropriano le generazioni più giovani. I problemi non sono cambiati, si sono evoluti, la cultura sessista è sempre forte, diffusa e tramandata. C’è un abisso tra la politica istituzionale, prigioniera della conservazione, e la piazza di Non una di meno, ricca di proposte, differenze, consapevolezza.

Il messaggio lanciato al governo è chiaro: il piano nazionale antiviolenza non funziona. Il modello securitario non produce effetti e non ha alcuna valenza preventiva. Occorre finanziare in maniera certa e strutturale i centri antiviolenza ed inserire finalmente i corsi di educazione alle differenze nelle scuole. Il contrasto alla violenza è un tema culturale, il femminismo è  la filosofia che ne ha indagato in maniera profonda le radici. È ora di avere il coraggio di farlo tornare nel discorso pubblico e politico, come hanno fatto oggi tante giovani donne e uomini.

Domani ricomincia il lavoro delle associazioni. Obiettivo della giornata e dei tavoli tematici: costruire un piano antiviolenza femminista alternativo a quello del governo.

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  • Autore articolo
    Chiara Ronzani
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    L’Istat ha pubblicato i report sugli scontri stradali, su base regionale (relativi al 2024) e anche alcuni dati sui primi sei mesi di quest’anno. Ci sono meno feriti e meno vittime sulle strade, anche se i numeri restano ancora drammaticamente elevati. Secondo l’Istituto di Statistica nel primo semestre del 2025 i morti sono stati 1310 (si parla di morti per scontri stradali se il decesso avviene entro 30 giorni dall’evento, quindi sono escluse le persone che muoiono, nonostante la causa siano le conseguenze dello scontro, oltre quel limite temporale) contro i 1406 dello stesso periodo dell’anno precedente. I feriti sono stati 111090, anche in questo caso in calo rispetto al 2024, quando erano stati 112428. Gli obiettivi europei sulla sicurezza stradale prevedono il dimezzamento del numero di vittime e feriti gravi entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento, che è il 2019. In Italia al momento registriamo una diminuzione del 4,5% (in Lombardia del 12,6). Bisogna ancora fare molto per riuscire a raggiungere l’obiettivo. Uno degli aspetti fondamentali, oltre la diminuzione della velocità, è l’incremento dell’educazione stradale. Stefano Guarnieri, padre di Lorenzo, morto nel 2010 a causa di un omicidio stradale a Firenze ha fondato l’associazione Lorenzo Guarnieri, che da anni si impegna a portare avanti un discorso di educazione. Alessandro Braga lo ha intervistato nella trasmissione Tutto Scorre.

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