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Migranti: un accordo di Roma con milizie libiche?

Tempesta in un bicchiere. A Tripoli negano e a Roma lo stesso. “Il governo italiano non tratta con i trafficanti”. E’ la “decisa smentita” di fonti della Farnesina. Nessun accordo tra Italia e milizie per bloccare il traffico di esseri umani e soprattutto nessun finanziamento dall’Italia alle milizie, né diretto né indiretto.

Lo scoop dell’Associated Press potrebbe avere qualche fondamento, ma ci deve essere un grande equivoco. AP scrive di un accordo, “sostenuto dall’Italia”, tra il governo di Tripoli e alcune milizie, precedentemente implicate nella tratta di migranti, per cambiare casacca e impedire adesso agli stessi migranti di attraversare il Mediterraneo”.

Prima di tutto non è un segreto e non è una cosa nuova il fatto che i governi libici, tutti dal 2012 in poi, hanno pagato gli stipendi alle milizie, ufficialmente per mantenere l’ordine, anche se in realtà loro sono all’origine del disordine.

In secondo luogo, non c’è nessun finanziamento in soldi italiani al governo Sarraj, ma in servizi e addestramento. Recentemente sono stati consegnati i kit sanitari a Zawia, per le prime cura ai migranti salvati. Alla luce del sole e con la foto dell’ambasciatore italiano, Perrone, insieme al presidente del consiglio militare della città.

Per quanto riguarda, invece, gli incontri tra personale italiano, probabilmente dei servizi segreti, con le milizie di Sabrata non credo sia la prima volta che ciò avvenga. Un precedente è stato quando erano stati rapiti quattro lavoratori italiani in quella città.

L’agenzia statunitense parte da una considerazione generale sul calo degli sbarchi di migranti sulle coste italiane: in agosto sono stati 2.936 contro i 21.294 dell’agosto di un anno fa. Per AP, questo risultato è in parte riconducibile all’azione della Guardia costiera libica, ma principalmente a un accordo tra il governo Sarraj e le milizie di Sabrata. Ne vengono citate due: Al-Ummi e Brigata 48. L’agenzia americana cita il portavoce delle due milizie che conferma l’accordo con il governo Sarraj e l’incontro con responsabili italiani; due attivisti per i diritti umani operanti a Sabrata che sostengono che le due milizie erano implicate nel controllo della tratta di esseri umani al fianco dei trafficanti; un funzionario del ministero dell’Interno che conferma all’agenzia che queste milizie hanno incontrato due responsabili italiani. Sono tre tasselli di un mosaico che messi insieme mettono in mostra uno scenario inquietante.

Le due milizie, una legata al ministero della Difesa e l’altra al ministero dell’Interno libici, avrebbero impedito – dopo questo accordo – alle barche di migranti di lasciare le coste libiche vicino a Sabrata e ordinato ai trafficanti di bloccare il loro lavoro. In cambio, le milizie hanno ricevuto equipaggiamenti, navi e stipendi“. La situazione viene descritta dal portavoce di Al-Ammu come “una tregua” che dipende dal continuo sostegno alla milizia. “Se il sostegno alla brigata si interrompe, questa non avrà più la capacità di fare questo lavoro e il traffico ricomincerà”.

Ci potrebbero essere molte millanterie, ma lo sfondo della fosca vicenda è realistico. Perché queste milizie ricevono già stipendi dal governo Sarraj. La questione da verificare è se hanno ricevuto un ulteriore incentivo per questo cambio di rotta e soprattutto se il governo italiano ha versato soldi al governo di Tripoli per questo paventato accordo. La smentita della Farnesina è stata sicuramente d’obbligo.

La storiella raccontata all’AP potrebbe essere anche di copertura a un altro risvolto interessante nella lotta contro i trafficanti di esseri umani, di droga e di petrolio tra Libia, Malta e Italia. Un contrabbando che ha sottratto alle casse dello stato libico nello scorso anno ben 2 miliardi di dollari. Il 24 agosto, un corpo speciale delle forze di sicurezza del governo Sarraj ha tratto in arresto uno dei più grandi trafficanti, il libico Fathi Khalifeh preso nel suo covo nella città di Zawia. Ha una società ufficialmente registrata a La Valletta e possiede navi e mezzi per il trasporto marittimo e terrestre. Insieme a lui sono stati arrestati un maltese e un egiziano. Nella città di Zawia si dice che i servizi italiani hanno dato una mano nella cattura.

Un funzionario del ministero degli Esteri libico, alla domanda di Radio Popolare sulla questione dell’accordo tra autorità italiane e milizie, ha suggerito di fare un’inchiesta sul petrolio libico venduto in contrabbando a Malta e Italia. E ha suggerito di approfondire a chi serve oggi infangare l’operato dei due governi di Roma e Tripoli.

Il funzionario, che ha voluto esprimersi sotto la garanzia di anonimato, si è detto incuriosito di come la stampa italiana non si interessi della visita di Salameh a Bengasi, dove l’inviato dell’Onu si è incontrato con il generale Haftar. Non si trova traccia della notizia dei due libici, un soldato e un funzionario della commissione elettorale, rapiti da Daesh nel maggio scorso e dei quali proprio in questi giorni i terroristi hanno divulgato un video, per chiedere un riscatto. “Non se ne parla perché forse non sono occidentali?”, si domanda retoricamente. Inoltre al confine sud tra Libia ed Algeria, Daesh si sta riorganizzando, al punto che l’Algeria ha dichiarato lo stato di emergenza.

Parole giuste, ma non smentiscono l’inchiesta che accusa Tripoli e Roma di essere scese ad accordi sotto il tavolo con milizie che in passato governavano il traffico di vite umane e, adesso, in cambio di soldi e ulteriore potere, passano dall’altra parte della barricata e si mettono a bloccare le partenze dei barconi, fino ad esaurimento dei fondi, per riprendere il gioco di prima.

Guardando in profondità alle cose libiche, non tutto è come sembra.

  • Autore articolo
    Farid Adly
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    Il 7 dicembre la Scala apre la stagione con l’opera censurata da Stalin

    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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