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Migranti e Schengen, vittime collaterali di Bruxelles

Un ragazzino tiene in mano un cartello scritto a mano con un pennarello nero. “Ci dispiace per Bruxelles”, si legge. La foto arriva da Idomeni, la ormai nota località al confine tra Grecia e Macedonia dove è sorto il campo profughi dopo la chiusura della frontiera. Quelle migliaia di persone non hanno nulla a che fare con il terrorismo jihadista, se non per esserne loro stessi vittime nei loro Paesi, a cominciare dalla Siria. “Nella mia esperienza di magistrato – ha detto il procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci – non ho mai visto un terrorista arrivare su un barcone. Abbiamo a che fare, al contrario, con persone che sono stabilmente inserite nella società”.

Eppure gli attentati di Bruxelles rischiano di colpire anche i migranti. Perché l’Europa ha dimostrato di non sapersi difendere e di cercare il capro espiatorio. Quei profughi sono ostaggio della politica assente dell’Unione europea, capace finora solo di chiudere i confini. E di fare con la Turchia un accordo che umilia la tradizione giuridica liberale europea.

L’altra vittima degli attentati rischia di essere Schengen, già duramente colpito dalle decisioni dei governi che lo hanno via via limitato. Se il segno politico europeo sarà ancora quello del populismo, la libertà di circolazione delle persone sarà ancor più messa in discussione. Con conseguenze negative anche per l’economia, come prevedono tutti gli analisti. Quello che l’Europa dovrebbe invece fare è dar vita a un serio e completo sistema di coordinamento fra le intelligence.  È stato messo finalmente in piedi un database europeo dai dati dei passeggeri (il cosiddetto Passenger name record). Ma più in là, finora, non si è andati. Gli scambi fra i servizi di intelligence restano estremamente limitati.

La materia è da anni in discussione nelle istituzioni europee e tra le capitali dei 28, che mantengono l’essenziale di competenza in materia di sicurezza. Solo i singoli Stati possono decidere di condividere i dati in proprio possesso con i loro partner. E i database nazionali non sono interconnessi, il che ovviamente limita di molto la reale efficacia nel contrasto delle reti criminali transnazionali. A rendere il quadro della sicurezza europea ancora più fragile è il fatto che l’Europol, l’agenzia di polizia europea, non dispone di una procura antiterrorismo in grado di coordinare i servizi di intelligence, centralizzando e diffondendo le informazioni che vengono trasmesse. La sua creazione, in cantiere da molto tempo, non è mai stata realizzata, sempre per le gelosie nazionali.

Per esempio, dopo gli attentati di Parigi si è saputo che la Turchia aveva trasmesso alla Francia il nominativo di uno degli attentatori per ben due volte. Ma le autorità francesi non avevano dato seguito all’informazione. Allo stesso modo, l’Associated Press ha rivelato che degli alti responsabili iracheni avevano avvertito la Francia dell’imminenza di un attentato a Parigi, pianificato a Raqqa, in Siria, e messo in atto da un cellula dormiente. Anche il caso di Salah Abdeslam è emblematico. L’uomo è il fratello di uno degli attentatori di Parigi: dopo aver partecipato agli attacchi, è stato aiutato a scappare da due amici venuti apposta da Bruxelles. La loro auto è stata fermata per ben tre volte dalla polizia francese, che ogni volta l’ha lasciata andare. Sono esempi di come le informazioni siano il vero terreno su cui l’Europa dovrebbe rispondere alla sfida terroristica. Superando le divisioni nazionali e non puntando tutto sul respingimento dei migranti.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    Il 2 marzo il governo israeliano ordinava il blocco totale dell’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Oggi, esattamente due mesi dopo, il blocco è ancora in essere e da due mesi nella Striscia non entra niente: né cibo, né acqua, né medicinali, né carburante. La situazione peggiora giorno dopo giorno, le scorte sono ormai esaurite e la fame sta dilagando. In questo contesto di blocco totale, il più lungo che Gaza abbia mai sperimentato, dove morire di fame non è più solo un modo di dire, le ong e le organizzazioni umanitarie cercano di sopperire alle colpevoli mancanze dei governi. È in quest’ottica che la nave della Freedom Flotilla Coalition, si stava preparando a partire per Gaza carica di aiuti umanitari, con l’obiettivo di rompere l’assedio. Questa notte, però, la nave è stata colpita da due droni, che hanno fatto scoppiare un incendio e ne hanno ovviamente impedito la partenza. Abbiamo raggiunto a Malta Simone Zambrin, attivista di Freedom Flotilla, che si sarebbe dovuto imbarcare oggi per andare verso Gaza.

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    Il Comitato Sì Meazza presenta un esposto alla Corte dei conti contro il nuovo stadio

    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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